Bruxelles – La Commissione europea ha proposto, oggi a Bruxelles, un pacchetto di misure, molto atteso, per la riforma, il completamento e l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria (Uem), che intende anche colmare le lacune e a correggere alcuni aspetti dell’attuale architettura e del funzionamento dell’Eurozona.
Innanzitutto, le proposte della Commissione mirano a democratizzare l’Uem, sottoponendo al controllo del Parlamento europeo decisioni come quelle che l’Eurogruppo e la famigerata Troika (Commissione, Bce, Fmi) hanno preso durante la crisi dell’Eurozona, a partire dal 2010, per imporre misure durissime di austerità (con i “memorandum of understanding”) ai paesi sotto programma di salvataggio, senza doverne rendere conto neanche ai parlamenti nazionali dei paesi interessati. Non sarà più possibile, ad esempio, che misure come la riduzione delle pensioni in Grecia possano essere chieste dalla Trojka ad Atene senza che si pronunci prima il Parlamento europeo, né potrà più verificarsi il caso, ripetutosi a febbraio, marzo e aprile quest’anno, di un presidente dell’Eurogruppo che, invitato a dare spiegazioni, rifiuta di presentarsi davanti agli eurodeputati.
Questa democratizzazione avverrà attraverso l'”escamotage” della fusione in una sola persona, il ministro delle Finanze dell’Ue, delle due figure del presidente dell’Eurogruppo (che non è responsabile davanti all’Europarlamento) e del commissario Ue agli Affari economici e finanziari, che sarà anche vicepresidente della Commissione, e che è tenuto a rispondere all’Assemblea di Strasburgo.
Inoltre, il Parlamento europeo potrà chiedere conto al presidente dell’Eurogruppo anche delle sue decisioni nella sua qualità di presidente del board dell’Esm, il Fondo salva-Stati (che diventerà il nuovo Fondo monetario europeo) e che finora non è mai stato sottoposto al controllo democratico degli eletti europei, né dei parlamenti nazionali, salvo che in cinque paesi: Germania, Olanda, Estonia, Slovacchia e Finlandia.
Con la creazione del nuovo ministro delle Finanze dell’Ue si ripeterà, “mutatis mutandis”, quanto è già stato fatto a partire dal Trattato Ue di Lisbona con l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, che è allo stesso tempo presidente del Consiglio Esteri e vicepresidente della Commissione. E, a quanto assicura l’Esecutivo Ue, non sarà necessario neanche modificare il Trattato per questo.
In secondo luogo, va rilevato che il pacchetto della Commissione mira a “comunitarizzare” tutto l’apparato sorto durante la crisi e basato su una struttura fortemente intergovernativa. Sia il Fondo salva-Stati Esm che il Trattato cosiddetto Fiscal Compact sono frutto di un accordo fra i governi (hanno lo statuto di trattati internazionali) e non fanno parte del diritto comunitario, pur svolgendo un ruolo cruciale nella “governance” dell’Eurozona e negli interventi finanziari per i suoi Stati membri in crisi.
Con le proposte dell’Esecutivo Ue, il fondo Esm verrà trasformato in un vero e proprio “Fondo monetario europeo” (Emf), con funzioni simili, all’interno dell’Eurozona, a quelle che l’Fmi ha a livello mondiale nell’aiuto finanziario (prestiti sottoposti a condizioni spesso durissime) ai paesi indebitati. Né la “governance” dell’Esm/Emf (con il potere decisionale in mano agli Stati) né il suo meccanismo di finanziamento (con l’emissione di obbligazioni sul mercato, garantite dagli Stati membri) cambieranno in modo significativo rispetto all’attuale Esm.
Le due grandi novità saranno invece le funzioni nuove che avrà l’Emf: da una parte, funzionerà come un meccanismo di finanziamento comune per il Fondo di risoluzione unico e quindi da prestatore di ultima istanza per la risoluzione ordinata delle banche in difficoltà (una funzione, questa, che la Germania si era sempre opposta ad attribuire all’Esm); dall’altra, l’Emf potrebbe dotarsi di nuovi strumenti finanziari per sostenere una funzione di stabilizzazione, in particolare al fine di mantenere i livelli di investimento pubblico negli Stati membri in caso di gravi “shock asimmetrici” (crisi economiche che colpiscono un solo paese o un gruppo di paesi, e non tutta l’Eurozona).
In quest’ultimo caso, l’Emf fornirebbe ai paesi in crisi dei prestiti garantiti dal bilancio comunitario, che a sua volta potrebbe contribuire alla stabilizzazione, ad esempio con un aumento della parte di sua competenza (e quindi una riduzione dei pagamenti da parte dello Stato membro interessato) nel cofinanziamento dei fondi Ue nei programmi strutturali e di coesione.
Più in generale, l’idea è quella di un “Investment Protection Scheme”, che continuerebbe a finanziare progetti e investimenti pubblici (istruzione e formazione, infrastrutture, ospedali, ricerca etc.) già intrapresi da un paese membro e che rischiano di essere interrotti a causa di uno shock asimmetrico.
Non ci saranno comunque, “trasferimenti permanenti” di risorse da alcuni Stati membri ad altri dell’Eurozona, ha assicurato oggi la Commissione, chiaramente per rassicurare l’opinione pubblica tedesca, contraria per principio all’idea della “Unione dei trasferimenti”, propugnata da gran parte degli economisti come un corollario necessario di una unione economica e monetaria.
Altro omaggio alle tesi tedesche è la piena “condizionalità” di queste forme di aiuto al rispetto delle regole di bilancio. In altre parole, non ne beneficeranno i paesi sotto procedura Ue per deficit eccessivo.
L’altra proposta per la “comunitarizzazione” è quella di integrare, nella sostanza, il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance (noto come “Fiscal Compact”) nell’ordinamento giuridico dell’Unione, tenendo presente che gran parte delle sue disposizioni sono in realtà già presenti da tempo nel diritto Ue (introdotte con le normative conosciute come “Six Pack” e “Two Pack”), e che dunque, secondo quanto ha assicurato il commissario agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici, “le politiche di bilancio oggi proibite resteranno proibite, e quelle autorizzate rimarranno autorizzate”.
In altre parole, da una parte Bruxelles continuerà a chiedere ai paesi già in regola con il criterio di Maastricht del deficit sotto il 3% del Pil di continuare a fare sforzi per arrivare all’equilibrio di bilancio “strutturale”, dall’altra si continueranno ad applicare i criteri di flessibilità di bilancio decisi dalla Commissione nel gennaio 2015, che l’Italia ha da allora applicato pienamente.
Trasformare un Trattato internazionale come il Fiscal Compact in una direttiva Ue da approvare a maggioranza qualificata in Consiglio (ma comunque con l’approvazione necessaria del Parlamento europeo), per renderlo parte del diritto comunitario può apparire come una forzatura, che toglie agli Stati membri eventualmente contrari (e in Italia lo sono diverse forze politiche) la possibilità di porre il proprio veto. Ma la Commissione ha ricordato che nel 2012 i 25 Stati membri firmatari del Fiscal Compact si sono impegnati a farlo cinque anni dopo la sua entrata in vigore, vale a dire il 1° gennaio 2018. Lo prevede, infatti, l’articolo 16 del Fiscal Compact, anche se il testo precisa che le misure necessarie per incorporarne il contenuto nell’ordinamento Ue dovranno essere prese “sulla base di una valutazione dell’esperienza maturata in sede di attuazione”, una frase che lascia un certo margine di interpretazione.
Il pacchetto varato dalla Commissione, prevede, infine, anche la predisposizione di nuovi strumenti finanziari per sostenere le riforme strutturali degli Stati membri, su loro richiesta (ma sempre a patto che rispettino le regole di bilancio), e uno specifico strumento di convergenza per gli Stati membri in procinto di aderire all’euro.
Le proposte della Commissione verranno esaminate dai capi di Stato e di governo dell’Ue già al prossimo Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, e l’Esecutivo Ue spera che siano approvate, almeno in parte, già a partire dal Consiglio europeo del giugno 2018.
Lorenzo Consoli per Askanews