Bruxelles – La violenza domestica è una dramma da cui troppe donne non riescono a uscire, spesso per debolezza e mancanza di aiuto, ma anche per ragioni economiche, per la paura di non riuscire a garantire un futuro a sé e ai proprio figli. Al Parlamento europeo si è tenuta una conferenza sul progetto cofinanziato dall’Unione europea We GO! (Women Economic-independence & Growth Opportunity), che negli ultimi due anni si è riproposto di rafforzare i servizi a supporto delle donne vittime di violenza domestica in Europa, orientati in particolare a favorire l’indipendenza economica, attraverso scambi di esperienze e identificazione di buone pratiche.
“Quello della violenza domestica è un problema che riguarda quasi una donna su quattro in Europa, si tratta di maltrattamenti principalmente da parte del proprio partner”, denuncia Rossana Scaricabarozzi, policy officer per il programma dei diritti delle Donne di ActionAid, associazione che ha coordinato il lavoro delle 15 organizzazioni no profit di 7 Stati membri dell’Ue (Italia, Spagna, Regno Unito, Grecia, Cipro, Svezia, Bulgaria) che ha preso parte al progetto. “Abbiamo posto un’attenzione particolare al problema dell’empowerment economico, perché sappiamo che spesso le donne non lasciano un partner violento perché sono prive di un’alternativa immediata per se stesse e per i propri figli”, afferma Scaricabarozzi. I dati raccolti dalla campagna sono impressionanti. L’82,5% delle donne che si sono rivolte ai Centri Antiviolenza hanno un basso livello di indipendenza economica, contro il 17,5% che è economicamente indipendente. Il 40,9% delle donne che ha subito violenza lavora, mentre il 59,1% non ha un’occupazione. Il 73,7% ha figli a carico e solo il 13,3% vive in una casa propria, contro il 14,8% che ne condivide la proprietà con il marito o il partner. Il 53% delle donne che si sono rivolte ai centri ha subito qualche forma di violenza economica: in particolare, il 22,6% ha dichiarato di non avere accesso al reddito familiare, il 19,1% di non poter usare i suoi soldi liberamente e il 17,6% ha affermato che le sue spese sono controllate dal partner. Il 16,9% non conosceva nemmeno l’entità del reddito familiare, mentre il 10,8% non poteva lavorare o trovare un impiego.
Per contribuire a porre fine a questo dramma “sono necessari due elementi fondamentali”, il primo è una “maggiore formazione e strumenti per le operatrici del settore, per affrontare il tema dell’indipendenza economica ed aiutare le donne a identificare le loro specificità rispetto a questo tema e le necessità materiali”, dichiara Beatrice Costa, responsabile dei programmi di ActionAid, e poi servono “percorsi di uscita” per garantire che queste donne non debbano aver paura di affrontare la vita da sole. E in questo l’Europa e gli Stati membri possono dare un contributo importante. Da parte loro, chiede Costa, “servono stanziamenti regolari e prevedibili” per i centri che si occupano di queste problematiche, cosa che al momento non avviene. In Italia, ad esempio, “i centri anti-violenza hanno difficoltà economiche e non riescono a implementare dei percorsi sostenibili nel tempo e a fornire risposte adeguate”, racconta Scaricabarozzi. “Un altro aspetto fondamentale”, continua Costa, è “incoraggiare la formazione di reti territoriali che mettano insieme pubblico e privato sociale e anche il mondo dell’impresa per facilitare il reinserimento o l’inserimento lavorativo per le donne”.
Lo studio condotto da WeGo! ha coinvolto 552 donne assistite dai CAV partecipanti al progetto in quattro Paesi europei: Bulgaria (1), Grecia (6), Italia (3) e Spagna (2). Una delle più grandi lacune da colmare nell’analisi della violenza di genere è, secondo l’analisi della campagna, la raccolta di dati di tipo socio-economico sulle donne, uno strumento che aiuterebbe non solo a comprendere meglio il fenomeno, ma soprattutto a capire quali azioni e politiche mettere in campo per rispondere ai bisogni delle donne che vogliono uscire da questo tipo di situazioni.