Roma – Con l’avvicinarsi delle elezioni sono spariti gli antieuropeisti, e gli euroscettici stanno ammorbidendo le loro posizioni. È ciò che emerge osservando i movimenti tellurici con cui le forze politiche italiane si stanno riassestando in vista delle elezioni politiche. In ogni schieramento, perfino nel centrodestra – cui si unirà il più critico detrattore dell’Ue, il leader leghista Matteo Salvini – sarà presente una componente europeista. E anche dove la componente sarà una sola, come nel caso dei Cinque stelle che correranno senza alleati, i tratti dell’antieuropeismo sono stati sostituiti da critiche, anche aspre, ma improntate a un dialogo per cambiare quello che non va. In sintesi, nessuno più predica l’uscita dall’Unione europea né dall’euro. Anzi, ogni schieramento promette di negoziare con i partner Ue per cambiare le regole, soprattutto in materia economica.
Il “cambio di passo” dell’Unione europea su questi temi è da sempre un cavallo di battaglia del segretario del Pd Matteo Renzi, che anche da premier non ha lesinato duri attacchi contro il Fiscal compact, tuttavia rispettando sempre le regole di bilancio, anche grazie alla flessibilità riconosciuta da Bruxelles e di cui il leader dem rivendica la paternità. Ieri, però, dall’annuale meeting dell’ex stazione Leopolda di Firenze, Renzi ha tenuto a sottolineare che il Pd è “ontologicamente” diverso dal Movimento cinque stelle e dalla destra, perché “siamo quelli dell’Europa, non quelli che vogliono uscire dall’euro o che propongono la doppia moneta”. Il segretario democratico, prende come “punto di riferimento” il presidente francese Emmanuel Macron, che ha conquistato l’Eliseo con una piattaforma fortemente europeista. Dopo averlo incontrato a Parigi, dice che è con lui che vuole condurre la battaglia per realizzare “la nostra idea di Europa”.
Molti hanno letto l’intervento di Renzi come una svolta in senso più europeista, e il cambiamento sarebbe funzionale anche a far andare in porto l’alleanza elettorale con +Europa, la formazione dei radicali di Emma Bonino e del sottosegretario Benedetto Della Vedova, dichiaratamente sostenitori di una maggiore integrazione europea in senso federalista, e che difendono perfino il rigore imposto dal Patto di bilancio. L’alleanza era stata data come cosa fatta, e questo aveva fatto infuriare l’ex commissaria europea, ma il dialogo prosegue e l’apparentamento con il Pd sembra l’unico approdo, a meno di non voler tentare una corsa in solitaria. Anche perché i centristi di Alfano – pure loro indecisi se legarsi al Pd o andare da soli – difficilmente potrebbero trovare un’intesa con i radicali per un polo di centro, liberale ed europeista, senza lasciar cadere i veti per l’approvazione delle leggi sulla cittadinanza e sul biotestamento.
Se quella di Bonino e Della Vedova sarà la componente europeista dello schieramento di centrosinistra, il centrodestra potrà contare sull’ex sottosegretario Enrico Zanetti e gli eredi di Mario Monti che non si sono buttati a sinistra. Formeranno “una lista civica nazionale europeista alleata di Forza Italia”. Anche nel centrodestra, non è solo la presenza di un alleato dichiaratamente pro-Ue a segnare la svolta. Gran parte del merito del ritorno alla ribalta di Berlusconi sulla scena europea è dovuta al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che si è fatto garante della volontà di arginare e non assecondare la deriva populista cui potrebbe portare l’alleanza con la Lega. Non è un caso, dunque, che lo stesso Tajani sia stato ospite della scuola politica del Carroccio, la scorsa settimana, e che Salvini non parli più di uscire dall’euro o dall’Ue, annunciando invece una nuova proposta del suo partito per riacquistare sovranità monetaria, ma in un quadro di riforme dell’Eurozona e dell’Unione europea.
Quanto ai Cinque stelle, non avranno alcun alleato europeista perché non stringeranno alleanze, ma la loro svolta è innegabile. Dall’alleanza al Parlamento europeo con gli euroscettici dello Ukip – che hanno ottenuto l’uscita del Regno unito dall’Ue – al programma con cui si presentano come forza di governo alle elezioni è passata tanta acqua sotto i ponti. Tanta da aver fatto naufragare le ambizioni di uscire dall’euro. Il referendum per il quale i pentastellati avevano già promosso una raccolta firme è stato messo in soffitta, e verrà tirato fuori solo nel caso in cui, una volta alla guida dell’esecutivo, il movimento di Beppe Grillo non riuscisse a ottenere una soddisfacente riforma dell’Eurozona da discutere con gli altri partner europei. Quale sia la ricetta per l’Europa di un futuro governo a 5 stelle lo illustrerà nel dettaglio il candidato premier del movimento, Luigi Di Maio, il 6 dicembre prossimo. Il leader M5s terrà il suo primo discorso interamente dedicato all’Europa in Campidoglio, a Roma, intervenendo alla cena di gala organizzata da Eunews nell’ambito della quarta edizione di ‘How can we govern Europe?‘.
Anche a sinistra, dove l’Mdp di Bersani, D’Alema e gli altri ex del Pd stanno creando un altro polo con Sinistra italiana e Possibile di Pippo Civati, non manca la connotazione europeista. La critica verso le politiche di austerità e rigore sono aspre, e anche questo schieramento ne chiede una profonda ridiscussione a livello europeo. Tuttavia, gli ex dem si sono sempre dichiarati “responsabili” nei confronti dell’Unione europea, e il loro corteggiamento nei confronti della presidente della Camera, la stessa Laura Boldrini che ha promosso tra i suoi omologhi nell’Ue un documento per il federalismo europeo, conferma che anche a sinistra, in vista delle elezioni, c’è un po’ più europeismo.