Bruxelles – Avanti, ma a piccoli passi. Il summit del partenariato orientale ribadisce gli impegni di principio tra i Paesi Ue e i Paesi dell’est a cui l’Ue guarda (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldova, Ucraina). Ma al netto delle intenzioni, di accordi firmati se ne portano a casa pochi. Si riesce solo a ‘strappare’ la cooperazione rafforzata e comprensiva con l’Armenia. Significa aprire nuove opportunità commerciali con lo Stato caucasico, qualcosa che non è stato possibile garantirsi con l’Azerbaijan (“buoni progressi” sul negoziato, recita la nota finale). Non è stato possibile nemmeno finalizzare gli accordi per un’area comune per l’aviazione civile. Quelli Georgia e Moldova esistono già, quello con l’Ucraina si vuole chiuderlo “il prima possibile”, e analogamente i 28 membri dell’Ue ha ribadito in coro “il sostegno per una rapida conclusione” degli accordi in aviazione civile con Armenia e Azerbajan.
Alla fine, a voler fare un bilancio, quello che si porta a casa è poco. Le tante assenze europee annunciavano del resto il profilo del summit. I leader di Cipro, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna, l’assenza di Emmanuel Macron (per la Francia presente il primo ministro Edouad Philippe, comunque) erano tutti segnali della portate di un summit che riaggiorna al 2019 la seduta e auspicabilmente decisione di rilievo. Resta la volontà comune di andare avanti, l’interesse di sviluppare relazioni e cooperazioni, con gli aiuti finanziari dell’Europa legati comunque al grado e alla velocità delle riforme all’interno delle ex repubbliche sovietiche.
Il viceministro degli Esteri, Mario Giro (a proposito: l’Italia è stato l’unico Paese Ue presente a tale livello, gli altri hanno mandato tutti almeno un ministro), ha detto che la riunione di oggi non va letta come una riunione “contro qualcuno”, riferimento alla Russia che guarda con attenzione gli sviluppi geopolitici di un’area fortemente contesa. Le conclusioni del summit sembrano tradire le parole del viceministro italiano. Tutta una serie di decisioni, comunque comprensibili nell’ottica di relazioni Ue-partner orientali, difficilmente non saranno lette con ostilità da Mosca. A cominciare dalla rinnovata partnership energetica. I Paese Ue e i sei Stati dell’est si sono impegnati a “stimolare la sicurezza energetica attraverso interconnessioni”. Vuol dire, scorrendo gli allegati alle conclusioni, “rendere lo strategico corridoio meridionale del gas operativo”. Si tratta della conduttura che taglierebbe fuori la Russia dai rifornimenti all’Europa.
Il corridoio sud è costituito da tre sezioni: South Caucasus Pipeline (Scp), che corre lungo Azerbaijan e Georgia, Trans Anatolian Pipeline (Tanap), che attraversa l’intera Turchia dalla frontiera georgiana al confine greco, e Trans Adriatic Pipeline (Tap), che attraversando Grecia, Albania, e mar Adriatico porterebbe infine il gas azero in Italia. Un modo per staccarsi dal fornitore russo. Una politica energetica che non farà piacere a Mosca. L’Ue però e i partner sono decisi ad andare avanti. Lunedì il commissario per l’Unione energetica, Maros Sefcovic, riceverà l’amministratore delegato di Naftogaz, il principale operatore ucraino per il gas. Sul tavolo anche la questine della modernizzazione del sistema di trasmissione e di stoccaggio nazionale.
E poi la difesa. Ue e Paesi dell’est sono decisi a “sviluppare, dove appropriato, un dialogo sulla sicurezza e sulla cooperazione nell’area della politica di sicurezza e difesa comune”. Ue e partner orientali riconoscono poi “la necessità di sostegno alla libertà di stampa” e di “maggiori sforzi per la comunicazione strategica”. Vuol dire, fuori dal linguaggio istituzionale, investire contro la propaganda russa. E non a caso si fa riferimento alla necessità di “accrescere la consapevolezza sulla disinformazione” sulle politiche europee per l’est europeo e quanto avviene nei Paesi interessati a stringere maggiori alleanze con l’Ue.