Bruxelles – Aumenta nei consumatori la consapevolezza dell’importanza del cibo buono e di qualità, il desiderio di tracciabilità e conoscenza, la volontà di apprezzare prodotti unici e rispettosi dell’ambiente. Questi elementi, che partono da nuove consapevolezze nei consumatori, si ripercorrono anche in ambito produttivo e distributivo, dove l’innovazione sta sfidando e selezionando le aziende che ne sanno cogliere le potenzialità. Questi i temi principali della pubblicazione Deloitte “Il settore agroalimentare: l’innovazione nei paradigmi”.
In un momento in cui il settore agroalimentare sta dando prova di forza e vitalità (nel 2016 ha rappresentato l’11,3% del Pil nazionale italiano, secondo solo al settore metalmeccanico), per le aziende è tempo di consolidare questo trend positivo grazie all’applicazione dei principi dell’innovazione sul prodotto e sul processo, ma anche a un livello più pervasivo sui valori propri che caratterizzano la loro realtà. In Italia fino a trenta anni fa l’80% delle aziende aveva un impianto tradizionale, mentre le restanti si dividevano tra tradizionale evoluto (surgelati, sughi pronti…) e nuovi prodotti (ad alto contenuto salutistico). Oggi invece il 25% del fatturato è costituito da prodotti per i quali l’innovazione anche incrementale costituisce un fattore essenziale e incorpora valore aggiunto.
L’innovazione è quella che nel titolo di questa 4° pubblicazione Deloitte sul settore agroalimentare viene definita “l’innovazione nei paradigmi”: facendo propri questi paradigmi, le aziende sono in grado agire con una visione prospettica che garantisca loro la continua competitività sul mercato nel medio-lungo termine, l’operatività e l’eccellenza.
I paradigmi che lo studio Deloitte identifica come necessari per le aziende sono 3:
- Consapevolezza: il consumatore è attento, desidera essere informato e tende a selezionare con attenzione i prodotti e premia le aziende che sanno interpretare questi bisogni
- Sinergie tra operatori: è la riscoperta delle regole che da sempre governano il settore; la costruzione di rapporti collaborativi all’interno e all’esterno dell’azienda è premiante per costruire prospettive future
- Disponibilità dei prodotti: la scelta di un prodotto, anche in ambito agroalimentare, segue sempre di più componenti emozionali; le nuove possibilità di effettuare acquisti stanno modificando i tradizionali canali distributivi.
Eugenio Puddu, Partner di Deloitte e referente Italia per il gruppo di lavoro Emea dedicato al settore agroalimentare, spiega che “il settore agroalimentare sta vivendo un percorso di maturazione del consumatore, ormai più attento, informato e cosciente di cosa vuole mangiare. Sta crescendo l’interesse per i prodotti salutistici che favoriscono l’adozione di modelli nutrizionali sostenibili e in sintonia con i trend demografici che caratterizzano il nuovo millennio. È perciò necessario per le aziende focalizzare l’attenzione su questi temi e trasformare quelli che sembrano ostacoli in vantaggi competitivi. Si pensi infatti che il mercato del biologico vale oggi 1.3 miliardi di Euro e registra crescite superiori al 20% di anno in anno”.
Paolo Gibello, Senior Partner Deloitte, autore dello studio e coordinatore del gruppo di lavoro dedicato al Consumer Products, aggiunge che “l’innovazione deve fungere da acceleratore per le aziende, anche e soprattutto per quelle di piccole e medie dimensioni che sono figlie di una tradizione artigiana del saper fare e della qualità, e infatti in Italia fino a trenta anni fa l’80% delle aziende aveva un impianto tradizionale… Senza la garanzia che queste aziende riescano a mantenere il passo rischiamo di rimanere intrappolati in una dimensione che può rappresentare un blocco alle opportunità che l’innovazione, se guidata, può invece offrire”.
I principali contenuti della pubblicazione e le prospettive sul settore e sull’applicazione dei paradigmi sono stati presentati in esclusiva nel corso del Forum sul Settore Agroalimentare tenutosi oggi presso il Parlamento Europeo e moderato dal direttore di Eunews Lorenzo Robustelli, a cui hanno partecipato tra gli altri gli eurodeputati Nicola Caputo (Commissione AGRI) e Eric Andrieu (Coordinatore S&D in Commissione AGRI), nonché Eugenio Puddu e Paolo Gibello di Deloitte, autori del testo.
Con 271 fra DOP e IGP per il settore cibo e 523 per il vino, per un valore della produzione di 13,5 miliardi di euro, l’Italia è il Paese leader in Europa nel settore delle indicazioni geografiche: vantiamo un paniere alimentare tutelato che copre circa il 25% del totale dei riconoscimenti ottenuti dall’Ue. “Purtroppo il problema della contraffazione persiste – ha sottolineato Caputo -. La contraffazione, la falsificazione e l’imitazione del Made in Italy alimentare nel mondo ha superato il fatturato di 60 miliardi di euro. Si tratta di prodotti che nulla hanno a che fare con la realtà produttiva nazionale. L’etichetta di origine obbligatoria per tutti gli Stati membri potrebbe permettere di mettere fine all’inganno dei prodotti importati spacciati per Made in Italy e di rispondere alle esigenze di oltre il 96% degli italiani che chiedono che venga scritto sull’etichetta in modo chiaro e leggibile l’origine degli alimenti”.
Di impatto dell’industry 4.0 nel settore ha parlato Alessandro Squeri, presidente dei giovani di Federalimentare, spiegando che “sarà molto positivo e toccherà tutta la filiera rendendola più efficiente. Le aziende potranno offrire prodotti di alta qualità e personalizzati a un prezzo più conveniente per i consumatori.
Secondo Squeri “avere gli attori interconnessi permetterà di raccogliere dati lungo tutta la filiera. Questo significa una migliore capacità di prevedere la domanda e quindi una riduzione degli sprechi”. Per il giovane imprenditore poi “un fattore abilitante per poter applicare le nuove tecnologie è la cultura e apertura mentale dal lato delle imprese. Questo significa formazione per gli imprenditori. Sotto questo aspetto i Giovani Imprenditori di Federalimentare stanno facendo la loro parte attivando collaborazioni con diversi acceleratori e istituti. In particolare – ha annunciato – abbiamo organizzato un interessante viaggio per gli imprenditori nella Silicon valley del Food. Vogliamo capire come l’area più innovativa del mondo approccia l’alimentare. Per questo ci incontreremo con diversi attori come Google Food, Stanford university, Airbnb Food e start-up di successo”.
Il presidente di Coldiretti Toscana e membro della giunta nazionale, Tulio Marcelli, ha insistito sulla questione della etichetta di origine, “una battaglia di Coldiretti condotta da anni con successo, come quelli ottenuti di recente su latte riso e pasta”. Relativamente a questa ultima “accogliamo con favore (come l’81% degli italiani ) la sentenza del Tar del Lazio che respinge il ricorso dei pastai contro il decreto pasta (fortemente voluto da noi) consentendo allo stesso di restare in vigore”. Secondo Marcelli “l’assenza di regolamentazione sull’origine genera fenomeni come quello dell’etichetta a semaforo in cui l’unico elemento distintivo per i consumatori e dettato dall’interesse di alcune multinazionali e come quello del sounding cioè etichette con bandiere di territori che non indicano la provenienza e generano fenomeni di distorsione della concorrenza e altre pratiche sleali”.
Ricordando gli accordi commerciali che sono stati siglati, come ad esempio il Ceta con il Canada, e quelli attualmente in corso di trattativa, secondo Caputo “l’agricoltura non deve essere utilizzata come moneta di scambio per ottenere un maggiore accesso ai mercati extra UE per i prodotti non agricoli e i servizi. Durante i negoziati la Commissione dovrebbe garantire un’adeguata tutela giuridica per le indicazioni geografiche dell’Ue sui mercati dei paesi terzi, così come misure per affrontare l’uso improprio e le informazioni e le pratiche fuorvianti. Invito inoltre la Commissione a garantire una protezione per quanto riguarda l’etichettatura, la tracciabilità e l’autentica origine dei prodotti agricoli, quale elemento essenziale di un accordo commerciale equilibrato”.