Berlino – “Meglio non governare che farlo male” con queste parole Christian Lindner, presidente di Fdp, Freie Demokrate Partei, ha abbandonato i negoziati per la formazione del nuovo governo tedesco tra Cdu, Csu, Fdp e Die Grüne. Dopo quattro settimane di trattative il risultato è un nulla di fatto che getta la Germania in uno stallo politico senza precedenti e apre alla possibilità di nuove elezioni.
Le premesse non erano delle migliori e la Jamaica Koalition, così veniva chiamata l’alleanza tra verdi, liberali e democratico cristiani, dati i colori simboli dei tre partiti, era un esperimento che aveva resistito soltanto alla prova di alcuni Länder tedeschi. I partiti si sono scontrati sul terreno dell’immigrazione e delle finanze, oltre a quello del clima.
In particolare, l’immigrazione è stato terreno di scontro tra Fdp e Verdi. I primi interessati a mettere un tetto agli arrivi e ad intensificare i rimpatri per gli irregolari, i secondi favorevoli al ricongiungimento familiare. Anche sul fronte finanziario la battaglia è stata intensa. I liberali si sono sempre dichiarati poco favorevoli al controllo di Bruxelles e hanno proposto una politica più dura verso i paesi debitori, quindi regole più ferree e conti in ordine per tutti, specie nei confronti dei partner europei. I verdi, di stampo più europeista sono per un’Europa meno “esattore delle tasse”.
Infine, il clima, nodo cruciale per i verdi e non prioritario per gli altri due partner della coalizione. Come è noto Cdu-Csu si sono fatti portatori degli interessi dei costruttori di auto durante lo scandalo Dieselgate e consiglieri di Angela Merkel, la cancelliera tedesca, sono stati accusati di collusione, mentre Fdp si è sempre dichiarato contrario ad una società Carbon Free puntando maggiormente sullo sviluppo economico tedesco.
Adesso che il dado è tratto le possibilità che si profilano sono diverse e poco sondate nella storia democratica tedesca. Quasi tutti i partiti spingono per una nuova tornata elettorale, che dovrebbe passare, almeno secondo la costituzione tedesca, dalla nomina di un nuovo governo. La legge fondamentale dello Stato tedesco impone che prima di sciogliere le Camere venga nominato un cancelliere dal presidente della Repubblica e che questo venga votato dalla maggioranza assoluta del Bundestag. Nel caso in cui questa maggioranza non venga raggiunta si procederebbe ad una nuova votazione che richiederebbe la maggioranza relativa, facile da raggiungere in questo caso. A questo punto il presidente della Repubblica dovrebbe decidere se sciogliere o meno il Bundestag e indire nuove elezioni da svolgersi entro 60 giorni.
Una seconda possibilità sarebbe quella di un governo di minoranza, eventualità che non si è mai verificata dal 1946, e piuttosto improbabile. Innanzitutto per la scarsa propensione di Angela Merkel a cercare una maggioranza ad ogni proposta di legge, in seconda battuta per l’immagine di un governo debole che verrebbe trasmessa ai partner europei. Che poi sarebbe il secondo governo debole in due dei Paesi più importanti, dopo quello britannico.
La terza eventualità sarebbe quella di continuare la Große Koalition con l’Spd. I socialdemocratici si sono dichiarati contrari a formare nuovamente un governo con la Cdu-Csu e oggi durante una conferenza stampa Martin Schulz, ex presidente dell’Europarlamento e candidato cancelliere Spd, ha chiesto a gran voce nuove elezioni. Nonostante i proclami, una battaglia interna al partito va avanti dalla sconfitta di settembre e non è escluso che si possa ridiscutere questa opzione nelle prossime settimane.
Infine, non è da escludere un governo che veda estromessa Angela Merkel dai giochi. Malgrado la cancelliera goda di un forte apprezzamento da parte della popolazione, addirittura maggiore a quello del suo partito, non è particolarmente amata dai suoi compagni e dagli altri schieramenti. Tutto ciò potrebbe portare ad un governo di coalizione sia tra Spd-Cdu-Csu sia un altro di Jamaica Koalition con la guida di un volto nuovo. In questo caso il candidato più papabile potrebbe essere l’ex ministro della difesa Ursula Von Der Leyen.
Se le elezioni sembrano la strada più probabile, nonostante il Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier sia contrario, quello che rimane da capire è chi potrà trarne vantaggio. Opinione comune è che dal caos politico possa guadagnare Afd, Alternative Für Deutschland, il partito populista che ha fatto il pieno di voti a settembre. La formazione cercherà di sfruttare l’incertezza e di puntare ancora più di quanto non sia stato fatto prima sul tema dell’immigrazione, vero tema portante della scorsa tornata elettorale.
Il secondo partito a trarne vantaggio sarà Fdp, che esce da queste consultazioni “duro e puro” senza aver ceduto su nessun tema mostrando un volto nuovo, a differenza del decennio passato, quando costruire una coalizione con i liberali era una sorta di certezza per gli alleati. Ma, vista la sconfitta elettorale subita in seguito al governo Cdu-Csu-Fdp, i Freie Demokraten hanno cambiato strategia e proveranno nuovamente ad allearsi con Cdu per formare un governo di centrodestra senza bisogno dell’aiuto dell’anomalia verde.
Sembra difficile invece che Spd riesca a recuperare lo svantaggio, vista anche la crisi che il partito sta vivendo. Una campagna elettorale breve non permetterebbe al partito di rimettersi in sesto e riconquistare la fiducia dell’elettorato. Peraltro Martin Schulz non ha ancora chiarito se si presenterà nuovamente come candidato cancelliere.
Infine, Csu, la compagine bavarese di Cdu, che sta vivendo una sorta di crisi d’identità. Il partito sta vivendo una battaglia al vertice in seguito agli scarsi risultati ottenuti alle elezioni di settembre. Il leader Horst Seehofer sperava nella Jamaica Koalition per serrare di nuovo i ranghi e riunire il partito. Il fallimento apre nuovamente una spaccatura esponendo il leader ad una possibile delegittimazione.
Che sia la fine della leadership sia per Merkel che per Seehofer? È ancora presto per dirlo, ma oggi a Berlino si è aperta una frattura difficile da sanare e che potrebbe mutare l’immagine della Germania sia in patria che in Europa, regalando spazio alle istanze populiste e nazionaliste che sempre più prendono piede.