Bruxelles – Dopo il commissariamento, la dichiarazione unilaterale d’indipendenza sortisce un altro effetto indesiderato (ma non inaspettato) per i catalani: Carles Puigdemont, i suoi ministri e la presidente del parlamento catalano Carme Forcadell, saranno processati con l’accusa di sedizione e ribellione. Lo ha chiesto il procuratore generale dello Stato, Jose Manuel Maza, spiegano che sono accusati di malversazione, ribellione e sedizione per aver disprezzato le leggi. I membri del governo saranno chiamati a rispondere in tribunale mentre Forcadell e alcuni parlamentari saranno giudicati dinanzi al Tribunale Supremo. Nessuno per ora è stato arrestato né soggetto a misure cautelari.
Questa mattina alcuni membri del governo erano andati a lavoro nonostante la destituzione, imposta da Madrid col commissariamento. Uno è Josep Turull. L’ex ministro catalano per il territorio e la sostenibilità si è svegliato, si è vestito ed è andato nel palazzo della Generalitat come fosse un giorno normale. La prova? La foto da lui stesso postata su Twitter che lo ritrae di fronte al pc accompagnata dalla frase “in ufficio per esercitare le responsabilità che ci ha affidato il popolo della Catalogna”. La resistenza non è durata a lungo però. Pochi minuti dopo il tweet, il ministro è stato allontanato dalle forze dell’ordine. “Poteva essere arrestato per usurpazione di funzioni pubbliche”, ha spiegato la polizia regionale, ormai sotto il controllo del Ministero dell’interno.
Sempre su Twitter si è diffuso il video dell’arrivo in ufficio di Carme Forcadell. La presidente del parlamento, che stamattina ha formalizzato lo scioglimento del parlamento, può tuttavia rimanere in carica fino al 21 dicembre, giorno in cui la Catalogna tornerà alle urne. Alle elezioni potrebbe ripresentarsi anche Puigdemont che, da quando è diventato disoccupato, sfida Madrid sui social. Il primo colpo è stato sferrato ieri, con un tweet. “La vittoria del Girona contro una delle più grandi squadre del mondo [il Real Madrid, ndr] è un esempio per molte altre situazioni”. Il secondo attacco è arrivato oggi, su Instagram, dove il leader indipendentista ha postato una foto di se stesso a lavoro: un altro esempio dell'”opposizione democratica” che porterà avanti da adesso in poi. Da dove, però, non si sa. Il capo dell’esecutivo è volato questa mattina a Bruxelles insieme a cinque suoi ministri. La notizia è stata confermata da fonti del ministero dell’Interno secondo le quali il viaggio non è preoccupante. L’importante è che Puigdemont stia lontano dal palazzo della Generalitat. Secondo fonti citate da El Diario, il leader indipendentista non sta scappando ma forzando appositamente la giustizia per dare maggior visibilità al suo caso. Restare a Bruxelles significa infatti mettere la giustizia di fronte alla scelta di accettare o meno un possibile mandato di cattura europeo.
Secondo altre fonti, Puigdemont non è così coraggioso e sta solo cercando di ottenere asilo. Teoricamente, non è possibile garantire questo istituto a un cittadino dell’Unione europea, o almeno non senza aver messo in discussione lo stato di diritto nel Paese da cui questo cittadino proviene. Ciò nonostante, il ministro belga per la migrazione e l’asilo Theo Fracken aveva detto che il suo Paese è pronto ad accogliere Puigdemont e gli altri ministri che, proprio per questo motivo, sarebbero oggi in Belgio. Il premier Charles Michel però ha immediatamente smentito questa soluzione “non è assolutamente all’ordine del giorno” del governo e invitando il suo ministro a “non gettare benzina sul fuoco”.
In passato ha già offerto la sua protezione ai baschi dell’Eta. Per ora né Michel né il presidente della regione belga delle Fiandre Geert Bourgeois hanno incontrato Puigdemont e “non c’è nessuna riunione in programma” tra il leader catalano e gli indipendentisti fiamminghi, secondo fonti interne al partito. Le stesse fonti hanno però annunciato che Puigdemont potrebbe tenere “una conferenza stampa con i suoi legali questa sera”.
Ma in Spagna c’è chi non vuole più sentire parlare di divisioni. Si tratta della “maggioranza silenziosa” degli unionisti che ieri, per la seconda volta da quando è stato convocato il referendum, è scesa in strada per gridare che “è possibile essere catalani, spagnoli ed europei” allo stesso tempo.
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