Bruxelles – Il governo della Polonia avrebbe utilizzato la maggioranza che lo sostiene in Parlamento per varare leggi che indeboliscono i meccanismi di vigilanza e controllo sul potere esecutivo, minando lo Stato di diritto e minacciando i diritti umani. È quanto sarebbe emerso dalla relazione sulla Polonia presentata oggi da Human Rights Watch. Il rapporto, intitolato ‘Erodendo controlli ed equilibri: Stato di diritto e dei diritti umani sotto attacco in Polonia’, nelle sue 37 pagine analizza l’impatto negativo sui diritti umani dopo le modifiche legislative introdotte dal Partito diritto e giustizia (PiS) dal suo arrivo al potere ad ottobre 2015.
“Il governo ha in gran parte ignorato le critiche dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa, e ha scelto invece di proseguire gli sforzi per eliminare i meccanismi di controllo della sua autorità, indebolire le protezioni ai diritti dell’uomo e di ridurre ogni forma di espressione del dissenso – ha commentato Lydia Gall ricercatrice di Human Rights Watch per i Balcani e l’Est Europa – l’Unione europea dovrebbe agire per difendere i suoi valori e i diritti della popolazione in Polonia”.
“In strada a difendere i diritti umani” è invece il titolo della relazione a cura di Amnesty International, pubblicata il 18 ottobre scorso e focalizzata sulla repressione delle proteste pacifiche da parte della polizia polacca. Il rapporto dettaglia le varie tecniche usate dalle autorità, come la sorveglianza, le intimidazioni e i procedimenti giudiziari, sia per disperdere che per impedire le proteste di massa.
“Dal 2016 migliaia di persone sono scese in strada per protestare in modo pacifico contro una serie di leggi repressive, tra cui quelle sui diritti delle donne, e di proposte pericolose per lo Stato di diritto” si legge nella relazione. “Mentre il governo continua a rafforzare il controllo sul sistema giudiziario, la resistenza popolare continua a crescere. – ha dichiarato Barbora Černušáková, ricercatrice di Amnesty International per la Polonia – Le autorità cercano in tutti i modi di bloccare le proteste: la polizia sorveglia, minaccia e avvia persino procedimenti giudiziari nei confronti dei manifestanti, anche per il semplice fatto di aver preso la parola in pubblico. “Sia le Nazioni Unite che l’Unione europea hanno rapidamente riconosciuto che il veto del presidente alla legge che avrebbe demolito l’indipendenza della magistratura era arrivato soprattutto a seguito delle proteste di massa – ha aggiunto Černušáková – Ora questi manifestanti hanno bisogno del sostegno della comunità internazionale per continuare a portare avanti la loro lotta”,
Nel luglio 2017, migliaia di persone in oltre 50 città polacche hanno preso parte alle manifestazioni contro la proposta di legge del governo, che avrebbe messo a rischio l’indipendenza dei giudici. Il governo ha reagito con una serie di azioni di polizia che hanno ostacolato lo svolgimento delle proteste e violato il diritto alla libertà di espressione e di manifestazione. A Varsavia, gli agenti hanno eretto grate di metallo per tenere i manifestanti lontani e non visibili dal Parlamento. Centinaia di agenti hanno pattugliato costantemente l’area scelta per la manifestazione ricorrendo a tutta una serie di tattiche per impedire alle persone di prendere parte alle proteste: cordonando le strade, circondando o trattenendo gruppi di manifestanti (il cosiddetto “contenimento”), minacciandoli fisicamente o intimidendoli.
La notte del 18 luglio una donna di Klementyna stava scattando fotografie a una manifestazione. Ha denunciato ad Amnesty di essere stata aggredita da agenti di polizia: “Un agente mi ha afferrato senza preavviso e mi ha spinto verso un semaforo. Mi ha schiaffeggiato in faccia senza che facessi alcuna resistenza. Sono sopraggiunti altri poliziotti, hanno completamente bloccato l’accesso alla strada e mi hanno ‘contenuta’”. La polizia ha dichiarato che la donna non ha esibito alcuna prova a sostegno della sua denuncia.
Nel dicembre 2016 il Parlamento polacco ha adottato una restrittiva legge sui raduni, che privilegia le “manifestazioni cicliche”, ovvero quelle curate dai medesimi organizzatori e che si svolgono nello stesso luogo più volte all’anno. Nel 2017 le autorità hanno favorito lo svolgimento di raduni mensili di sostenitori del governo – ad esempio la commemorazione dell’incidente aereo del 2010 in cui morirono l’allora presidente Lech Kaczyński e altre 95 persone – a scapito di altre richieste di manifestare pacificamente e in chiara violazione del diritto internazionale dei diritti umani. Nonostante i divieti, manifestanti pacifici hanno continuato a svolgere “contro-manifestazioni”. Decine di persone sono state incriminate per reati minori come “disturbo a una riunione legale” o, poiché i raduni mensili filogovernativi sono svolti come processioni religiose, “disturbo intenzionale a una funzione religiosa”.
“Vogliono spaventare la gente in modo che non protesti”, ha dichiarato uno studente universitario incriminato nel dicembre 2016 per “ostruzione alla libertà dei mezzi d’informazione” per aver protestato ad alta voce nei pressi di un giornalista che stava trasmettendo in diretta da uno spazio pubblico.
“La criminalizzazione di chi si limita a esercitare il suo diritto alla libertà d’espressione e di manifestazione pacifica getta un’ombra sulla Polonia odierna. Le accuse meschine e frutto di vendetta nei confronti dei manifestanti sono il segnale di uno spazio via via più ridotto per la società civile. Dovrebbero essere ritirate immediatamente”, ha concluso Černušáková.