Bruxelles – Osservati speciali. Ecco cosa sarebbero diventate le università britanniche dopo la Brexit. L’allarme arriva dai dirigenti universitari che in questi giorni sono stati invitati dal parlamentare tory Chris Heaton-Harris, a stilare liste con nomi e cognomi di chi insegna relazioni internazionali nei loro atenei, e a fornire indicazioni precise sul contenuto delle lezioni “con particolare attenzione a quelle sulla Brexit”. Il tutto con tanto di link se per caso sono state caricate online.
Letter to my @Conservative MP re Heaton-Harris letter. Live in a constituency that has voted Tory? Please write yours too. pic.twitter.com/YTUSqmc8ks
— Kate Hammer (now katehammer@mas.to) (@kate_hammer) October 24, 2017
“Sembra una richiesta innocente ma, in realtà, è molto pericolosa”, ha commentato David Green, vicerettore dell’università di Worcester. “Si tratta del primo passo della polizia del pensiero, della censura politica e come sempre lo si giustifica con ‘la volontà del popolo britannico'”. Green ha annunciato che risponderà a Heaton-Harris ma solo per informarlo che non è sua intenzione dargli questo tipo di informazioni. Lo stesso hanno fatto molti suoi colleghi, euro-scettici compresi. “Mi preoccupa il fatto che un parlamentare pensi di avere la competenza di ficcare il naso negli insegnamenti universitari. Gli atenei devono essere autonomi e i politici non hanno il diritto di intimidire i professori in questo modo”, ha commentato Lee Jones della Queen Mary University di Londra. “Non avrei mai pensato che la possibilità di essere promosso dipendesse dalla mia idea sulla Brexit”, gli ha fatto eco Chris Bickerton dell’università di Cambridge che pure ha votato per lasciare la Brexit.
Secondo un sondaggio di Yougov, Jones e Bickerton rappresentano una minoranza nel mondo accademico che avrebbe votato in massa per il Remain. “Ma il mio ruolo come insegnante è quello di diffondere la conoscenza, incoraggiare il dibattito e sviluppare capacità di analisi, non quello imporre una dottrina”, si difende Julie Smith, direttrice del centro europeo al dipartimento di Politica e Studi Internazionali di Cambridge. “Mi inquieta questa interferenza che ha l’obiettivo di verificare se, nelle università, si diffondono le idee giuste”.
In un tweet Heaton Harris ha poi tentato di mettere una pezza tardiva alla sua iniziativa, spiegando che lui non mette in discussione la libertà di insegnamento.
To be absolutely clear, I believe in free speech in our universities and in having an open and vigorous debate on Brexit.
— Chris Heaton-Harris MP (@chhcalling) October 24, 2017
Non è però la prima volta che la politica britannica cerca di controllare il mondo accademico. “Prima del referendum la Commissione elettorale chiamava quasi tutti i giorni la London School of Economics (Lse) per sapere quali erano speaker e costi dei nostri eventi”, ha detto il professor Kevin Featherstone, direttore dell’istituto europeo della Lse aggiungendo che la prestigiosa università ha già rischiato di essere censurata. Il riferimento è all’inchiesta della commissione elettorale, scattata dopo la denuncia del Tory Bernard Jenkin. Il motivo: a giudizio del tory, l’università pubblicava paper faziosi per convincere l’opinione pubblica a rimanere nell’Unione e aveva permesso ad uno speaker di dire che “il Regno Unito non avrebbe avuto nessun vantaggio ad uscire dall’Ue”. Featherstone è convinto che sia questo episodio che la lettera “riflettono un passato di maccartismo” e minacciano l’indipendenza delle università che dovrebbe essere luoghi liberi dove gli accademici dibattono senza interferenze politiche. D’accordo un altro portavoce della Lse secondo cui “la libertà dei professori è essenziale a preservare la salute dell’università e della ricerca nel Regno Unito”.