Continua il viaggio Migrazioni in poesia Eunews con un passo dei “Canti Orifici” di Dino Campana (1885 – 1932). Campana è un poeta toscano morto in manicomio a 47 anni. Il poeta soffriva di una particolare forma di schizofrenia che lo portò a condurre una vita errabonda per il mondo, lontano dalla madre da cui si sentiva disprezzato, e dal padre che avrebbe voluto fargli completare gli studi all’università di Chimica di Bologna. Campana nei suoi viaggi era stato molto a contatto con i ‘bassifondi’, arrivando a suonare il piano in un bordello di Bruxelles. Passò anche alcuni periodi in manicomio, ed è in uno di quei momenti che partorì i Canti orifici. I versi parlano di chimere, androgini, prostitute, in atmosfere urbane allucinate e degradate, caratterizzate dalla compresenza di angelico e demoniaco. Non si ispira al decadentismo di D’annunzio, ma ha uno stile tutto suo difficile da etichettare in cui riesce a mettere in poesia gli ultimi.
… poi che nella sorda lotta notturna
La più potente anima seconda ebbe frante le nostre catene
Noi ci svegliammo piangendo ed era l’azzurro mattino:
Come ombre d’eroi veleggiavano:
De l’alba non ombre nei puri silenzii
De l’alba
Nei puri pensieri
Non ombre
De l’alba non ombre:
Piangendo: giurando noi fede all’azzurro
. . . . . . . . . . . .
Pare la donna che siede pallida giovine ancora
Sopra dell’erta ultima presso la casa antica:
Avanti a lei incerte si snodano le valli
Verso le solitudini alte de gli orizzonti:
La gentile canuta il cuculo sente a cantare.
E il semplice cuore provato negli anni
A le melodie della terra
Ascolta quieto: le note
Giungon, continue ambigue come in un velo di seta.
Da selve oscure il torrente
Sorte ed in torpidi gorghi la chiostra di rocce
Lambe ed involge aereo cilestrino…
E il cuculo cola più lento due note velate
Nel silenzio azzurrino
. . . . . . . . . . . .
L’aria ride: la tromba a valle i monti
Squilla: la massa degli scorridori
Si scioglie: ha vivi lanci: i nostri cuori
Balzano: e grida ed oltrevarca i ponti.
E dalle altezze agli infiniti albori
Vigili, calan trepidi pei monti,
Tremuli e vaghi nelle vive fonti,
Gli echi dei nostri due sommessi cuori…
Hanno varcato in lunga teoria:
Nell’ aria non so qual bacchico canto.
Salgono: e dietro a loro il monte introna:
. . . . . .
E si distingue il loro verde canto.
. . . . . . . . . . . .
Andar, de l’acque ai gorghi, per la china
Valle, nel sordo mormorar sfiorato:
Seguire un’ala stanca per la china
Valle che batte e volge: desolato
Andar per valli, in fin che in azzurrina
Serenità, dall’aspre rocce dato
Un Borgo in grigio e vario torreggiare
All’alterno pensier pare e dispare,
Sovra l’arido sogno, serenato!
O se come il torrente che rovina
E si riposa nell’azzurro eguale,
Se tale a le tue mura la proclina
Anima al nulla nel suo andar fatale,
Se alle tue mura in pace cristallina
Tender potessi, in una pace uguale,
E il ricordo specchiar di una divina
Serenità perduta o tu immortale
Anima! o Tu!
. . . . . . . . . . . .
La messe, intesa al misterioso coro
Del vento, in vie di lunghe onde tranquille
Muta e gloriosa per le mie pupille
Discioglie il grembo delle luci d’oro.
O Speranza! O Speranza! a mille a mille
Splendono nell’estate i frutti! un coro
Ch’è incantato, è al suo murmure, canoro
Che vive per miriadi di faville!…
Ecco la notte: ed ecco vigilarmi
E luci e luci: ed io lontano e solo:
Quieta è la messe, verso l’infinito
(Quieto è lo spirto) vanno muti carmi
A la notte: a la notte: intendo: Solo
Ombra che torna, ch’era dipartito…