Bruxelles – Secondo Samuel, leader dei Subsonica, l’Unione europea non funziona bene. L’artista ha consegnato a Eunews le sue considerazioni, in occasione della tappa al VK di Bruxelles del suo tour europeo da solista, “Il codice della bellezza”. “Ci sono ancora divisioni culturali grosse”, ha spiegato il cantautore. “In questo periodo storico – prosegue – abbiamo assistito alla Brexit e alla vicenda drammatica della Catalogna. Sono chiari segnali che qualcosa non va. Si è cercato di uniformare tutte le culture delle nazioni europee e questo è stato un grande sbaglio. Bisognava pensare prima di tutto a fare un’unificazione economica, che non c’è stata. E bisognava preservare le differenze culturali di ogni nazione. La diversità di cultura è una ricchezza e va protetta. Forse siamo stati troppo giovani. È stato il primo esperimento e dobbiamo aspettare un secondo tentativo che sia più coerente su quello che e l’Europa adesso.”
Samuel Romano, da 20 anni sei la famosissima voce del gruppo rock elettronico torinese Subsonica. A Sanremo 2017, con “Vedrai” estratta dall’album “Il codice della bellezza”, hai deciso di lanciarti in un’esperienza da solista, come mai?
La scelta di fare un disco da solista, dopo che passi 20 anni in un gruppo consolidato come quello dei Subsonica, nasce principalmente dall’idea di andare a cercare i propri confini, dal voler andare a misurarsi con sé stessi. Quando si lavora in gruppo si utilizza un meccanismo di sottrazione. Ovviamente non puoi mettere troppe robe tue dentro quello che fai insieme agli altri, per dare spazio agli altri appunto. Così, rimangono fuori tutta una serie di cose non dette, di scintille, di idee che inevitabilmente non possono finire negli album. Rimane questa sorta di ‘hard disk’ immaginario nel quale tu ci metti tutte le tue idee e i tuoi desideri musicali inespressi. Dopo 20 anni, ti rendi conto che arriva un momento in cui si fa il punto della propria creatività. Ci si ritrova a guardarsi un po’ allo specchio, riprendi l’hard disk e diventa interessante pensare di poter fare un disco da solista. Io ho avuto la fortuna di poterlo fare, di potermelo concedere. Non tutti i cantanti di gruppo possono farlo. Io ho avuto la fortuna di poterlo fare con un bel budget di registrazione. Sono stato un mese a Los Angeles con uno dei produttori di pop italiano più importanti. Ho avuto la fortuna di collaborare con Lorenzo Jovanotti, che è un’artista che non si concede al primo che arriva. Ho avuto la fortuna di poter costruire uno spettacolo, di poter suonare dal vivo questa idea che avevo.
E hai potuto esprimere al meglio te stesso ne “Il codice della bellezza”?
Sì, ed è stato bellissimo. È stato importantissimo per me questo progetto. Era un bisogno, una necessità. Ti dirò, c’è stata una canzone che non avrei avuto voluto inserire nel disco, che invece piaceva alla produzione “La statua della mia libertà” . Adesso invece mi piace, perché mi permette di fare un bel giochino con il pubblico durante il concerto. “La risposta” , invece parla proprio di questo periodo in cui ho fatto i conti con la mia creatività dì artista e cercavo una risposta, e di questo parla la canzone.
Ma che hai pensato di Sanremo?
Sanremo è stata un’esperienza che mi ha dato molto divertimento. Con questo album ho voluto fare il cantante, per abbandonare l’idea di essere un musicista produttore di me stesso, che fa parte di quell’entourage musicale elettronico che ha un po’, come dire, cancellato la figura del ‘cantante e basta’. Volevo tornare un po’ indietro. Volevo tornare al mio amore di infanzia, quando ero io che suonavo con la chitarra delle canzoncine che mi scrivevo da solo, e Sanremo è il luogo giusto per questo. Non esiste al mondo una vetrina del genere per i “cantanti e basta”. Quando me l’hanno proposto, inizialmente ero un po’ stranito dalla cosa, poi ho unito due sensazioni. Una era quella di salire su quel palco da solo, come conatante, andandomi a misurare nel luogo più difficile per un cantante anche dal punto di vista emotivo. L’altra sensazione è che io avevo la necessità di un tempo ridotto, un anno. Perché l’anno prossimo si rifà l’album dei Subsonica, quindi avevo solo un anno a disposizione per poter raccontare a più persone possibili il mio progetto, e quello era un megafono incredibilmente vasto.
Cosa pensi dell’industria musicale italiana?
Quando tu produci una cosa devi essere il primo fan di te stesso. Se tu non credi in quello che produci, difficilmente, puoi spiegarlo agli altri. Noi siamo una nazione che culturalmente si è svenduta. Nel dopoguerra, abbiamo regalato la nostra cultura all’America e gli abbiamo regalato anche lo “spazio” culturale. Loro ci hanno colonizzato in cinema, musica, e libri. Abbiamo sempre di più nascosto la nostra capacità di essere artisti, cosa che invece ci viene completamente naturale, perché siamo un popolo conquistato da mille culture, che è stato sempre in grado, per posizione geografica, di ospitare tanta cultura, e che per questo è molto ricco dal punto di vista espressivo. Invece, ci siamo sempre di più cancellati dietro una cultura che c’è stata imposta da metà del dopoguerra a oggi. Facendo così, non abbiamo protetto il nostro essere artisti e la nostra bellissima tipicità, tanto è vero che il mercato musicale italiano è equivalente a quello del terzo mondo, fondamentalmente.
Qual è il tuo giudizio sui Talent show?
Sono il mezzo che hanno oggi i giovani artisti per farsi conoscere. È un mezzo molto potente. Ti dà la possibilità di arrivare a moltissimo pubblico, però è anche molto pericoloso. Perché sempre di più si sta spostando l’attenzione sul gesto televisivo. Così si allontanano i giovani dal gesto artistico sul palcoscenico, e questa cosa qui è pericolosa, perché sul palcoscenico succedono delle cose fisiche, non studiate tavolino. Davanti alla telecamera è in qualche modo tutto un po’ scritto, già definito a priori, e non si può pensare di avere un programma televisivo senza un canovaccio importante da seguire. Mentre sul palco a volte avvengono delle cose che l’istinto ti porta a fare davanti perché devi stare davanti ad un pubblico. In quel momento, fare un gesto tecnico ti porta a inventare delle cose nuove. Con i talent, il rischio è che ci saranno sempre di più persone in grado di stare benissimo davanti la telecamera, ma che poi quando le metti sul palco, cadono.
E invece per quanto riguarda chi si lancia sui Social?
L’utilizzo dei social è la nuova forma di comunicazione. Io trovo bellissimo poter essere ufficio stampa di sé stessi, perchè quando ti organizzi il tuo social personale nel modo che tu vuoi, facendo arrivare le cose che tu hai in testa, è bellissimo. È un obiettivo ammirevole per un’artista promuoversi da solo. Il problema è la grandissima vastità di informazioni che poi si riversano in rete, quindi poi è più complicato essere pungenti e arrivare alle persone. È aumentata notevolmente la capacità di commento delle persone. e quindi è aumentata anche la capacità di destabilizzare un artista. Questa cosa genera più difficoltà nel raggiungere prima la propria identità espressiva.
Qual è la tua nuova ossessione post 40 anni?
La mia unica ossessione è sempre stata la musica. Ho scritto la prima canzone a sei anni. Scrivere canzoni è la mia unica aria respirabile, sono 39 anni che lo faccio e ad oggi sto bene. Il mio sforzo è continuare a farlo.
Quando uscirà il prossimo disco dei Subsonica?
Non lo so però a gennaio ci incontriamo e gettiamo le prime basi. Ci vuole un anno, ma vorremmo farlo uscire il prima possibile. Penso ottobre.