Bruxelles – Lo chiamano “il Trump della Repubblica Ceca”, e basterebbe questo per far capire che aria tira e potrebbe tirare in Europa dopo la vittoria di Andrej Babiš alle elezioni generali che portano via un altro leader socialista al già piccolo gruppo di capi di Stato e di governo con cui l’Italia di Paolo Gentiloni sta faticosamente cercando di costruire un’alternativa all’Unione europea a guida Ppe. Euroscettico, contro l’adozione dell’Euro, contrario ad ogni idea di ricollocamenti dei migranti, Babiš e il suo partito Ano2011 si trasformano nella nuova, ennesima sfida per la tenuta di questa Europa, con cui con ogni probabilità l’Ue e i suoi leader dovranno fare i conti.
Ano2011 ha sbaragliato gli avversari: ha ottenuto il 30% dei voti, mentre nessun altro partito ha saputo superare la soglia del 12% dei consensi. Il partito civico-democratico (Ods, affiliato ai conservatori Ecr), secondo partito, ha ottenuto l’11,3%, terzo il partito Pirata (10,7%), formazione nuova in Parlamento Ceco, e ancora con nessuna affiliazione nei partiti europei. Quarta forza il Partito per la democrazia diretta e la libertà (Spd, 10,6%), formazione dell’ultra-destra ceca: si tratta di un partito a forte connotazione nazionalista, fortemente euroscettico, contro l’Islam e l’immigrazione, e che – pur non avendo attualmente alcun eurodeputato – si identifica nel gruppo Enl di cui fa parte il Front National di Marine Le Pen e Matteo Salvini. Crolla il partito socialdemocratico del premier uscente Bohuslav Sobotka, diventato sesto partito (7,2% dei voti, in calo del 13% rispetto alla ultime elezioni), mentre l’Unione cristiano-democratica, che in Europa si accasa con il Ppe, si ferma al settimo posto con il 5,8% dei voti.
A guardare come hanno votato i Cechi (dove il primo partito è quello degli astenuti, attorno al 39%), le principali forze democratiche europee escono fortemente ridimensionate. I partiti cechi affiliati a Ppe e Pse di fatto scompaiono. Il partito del vincente Babiš ufficialmente è affiliato ai liberali europei (Alde), ma le posizioni del suo leader destano qualche dubbio sulla natura europeista della sua formazione. Da solo Ano2011 guadagna 78 seggi su 200, e questo imporrà coalizioni di governo. Il vero rebus è legato alle alleanze. A quanto pare né partito comunista (15 seggi), né socialdemocratici (15 seggi) né cristiano democratici (10 seggi) sono intenzionati a stringere alleanze con Babiš. C’è il rischio quindi con un’alleanza con l’ultra-destra di Spd, con l’incognita del partito pirata a questo punto possibile ago della bilancia. Un’alternativa a Babiš non appare possibile, dato che anche una grande coalizione degli altri partiti non permetterebbe di avere il 50% dei seggi più uno in Parlamento.
L’Ue dunque dovrà vedersela con un Paese, la Repubblica ceca, che rafforzerà l’intransigenza del gruppo di Vysegrad. Dopo leader del calibro di Viktor Orban (Ungheria) e Beata Szylo (Polonia), ritenuti a capo di sistemi al limite dello stato di diritto, si rischia un altro leader dell’est Europa spinoso con cui trattare. Prima ancora che “il Trump della Repubblica ceca”, Babiš è stato soprannominato “Babisconi”, per le sue analogie con Sivio Berlusconi. Imprenditore, Babis è il secondo uomo più ricco del Paese. Proprietario di Agrofert – conglomerato che opera nei settori agricolo, forestale, alimentare, chimico, logistico, energetico – detiene anche Mafra, gruppo editoriale responsabile per la stampa dei quotidiani (Mf Dnes, il secondo quotidiano più venduto, Lidove Noviny, e rispettivi siti internet, e il freepress Metro). Al centro di accuse di frode per uso indebito di due milioni di fondi europei, Babiš è anche al centro di problemi di conflitto d’interessi.