Migrazioni. Il viaggio in poesia di Eunews continua con Lautreamont, pseudonimo di Isidore Lucien Ducasse (Montevideo, 4 aprile 1846 – Parigi, 24 novembre 1870). Il testo qui sotto riportato è tratto dal poema epico Maldoror ed è un chiaro esempio dello stile romantico. La letteratura ottocentesca ha più volte riproposto la figura del “viaggiatore smarrito”, simbolo dell’uomo e dei suoi tormenti interiori. In questa poesia, Lautreamont preferisce però soffermarsi su immagini e suoni più idilliaci come i “riccioli sparsi al suolo” e “le corde dell’arpa melodiosa”. Non c’è spazio per la violenza verbale e i riferimenti satanici che fecero di lui, così come di Charles Baudelaire, un “poeta maledetto”. L’autore morì a soli 24 anni, forse a causa della tubercolosi.
ISIDORE LUCIEN DUCASSE
Chants de Maldoror, cap II
O viaggiatore smarrito a causa del tuo spirito
d’avventura che ti ha fatto abbandonare tuo padre e tua
madre fin dalla più tenere età; in seguito alle sofferenze che
la sete ti ha provocato nel deserto; in seguito alla patria che
cerchi, forse, dopo aver a lungo errato, proscritto, in
contrade straniere; inseguito al tuo corsiero, il tuo fedele
amico, che con te ha sopportato l’esilio e l’inclemenza dei
climi che il tuo umore vagabondo ti faceva percorrere; in
seguito alla dignità che all’uomo viene dai viaggi in terre
lontane e mari inesplorati, in mezzo ai ghiacci polari, o sotto
l’influsso di un torrido sole, non toccare con la tua mano,
come con un fremito della brezza, quei riccioli di capelli
sparsi al suolo, mescolati sull’erba verde. Scòstati di molti
passi, così agirai meglio. Questa capigliatura è sacra; è
l’ermafrodito stesso che l’ha voluto. Non vuole che labbra
umane bacino religiosamente i tuoi capelli, profumati dal
soffio della montagna, e così la tua fronte, che risplende, in
questo istante, come le stelle del firmamento. Ma meglio è
credere che sia una stella che è scesa dalla sua orbita,
attraversando lo spazio, su questa fronte maestosa, che essa
circonda della sua chiarezza di diamante, come di
un’aureola. La notte, scostando col dito la sua tristezza, si
riveste di tutte le sue attrattive per festeggiare il sogno di
questa incarnazione del pudore, di questa immagine perfetta
dell’innocenza degli angeli: il brusio degli insetti è meno
percettibile. I rami inclinano su di lui la loro folta elevazione,
allo scopo di preservarlo dalla rugiada, e la brezza, facendo
risuonare le corde della sua arpa melodiosa, invia i suoi
accordi gioiosi, attraverso il silenzio universale, verso le sue
palpebre chine, che hanno l’impressione di assistere,
immobili, al concerto scandito dei mondi sospesi.