Bruxelles – La chiave di volta per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale è la Libia. Solo nello Stato nordafricano si sono mezzo milione di sfollati a causa della guerra civile, e circa la metà di loro tenta di tornare a casa. Ci sono però 250mila persone potenzialmente pronte a mettersi in marcia verso il territorio dell’Ue, e forse lo sono già. A queste si aggiungono quanti dal Sahel si muovono verso nord in cerca di una vita migliore nel nostro continente. E mentre la povertà spinge migliaia di persone a fuggire dall’Africa gli Stati membri si sottraggono alle loro promesse di impegni economici per aiutare il continente. Le sfide non sono poche, e a Bruxelles lo sanno. Il ‘resettlement’, l’accoglienza in Europa di persone che si trovano in Paesi extra-Ue, “è una soluzione, ma non può essere la soluzione” al problema, ragionano nella capitale dell’Ue. Ritorni volontari, ricongiungimento familiare, finanziamento dell’economia dei Paesi di origine sono le opzioni alternative su cui l’Europa lavora da tempo. E poi, ovviamente, la stabilizzazione della Libia.
La Libia del sud è considerata di fondamentale importanza perché “storicamente e tradizionalmente” è da qui che passa la stabilità delle regione. Ed è qui che l’Ue, col sostegno della comunità internazionale – Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Unhcr) – sta lavorando alla realizzazione delle condizioni ottimali per evitare che ci si metta in marcia. Sono stati ripristinati due pozzi, permettendo così l’accesso all’acqua a 10mila persone, sono state riaperte le scuole, dove ora accedono circa 15mila persone e ad altre 15mila è stato reso possibile l’accesso al sistema sanitario. “Ci sono sviluppi positivi in Libia”, e questo conforta. Ma problemi restano, in particolare quello dei centri di detenzione libici. Chi entra qui difficilmente torna indietro. I ritorni volontari riguardano migranti che si trovano “fuori” tali centri, rilevano fonti Ue, preoccupate per il possibile traffico di esseri umani. “Vorremo evacuare le persone dalla Libia verso altri Paesi”, si ammette. Ma non sarà facile.
Ma il vero nodo è fermare la marcia dei disperati. Si lavora al sud della Libia, con quegli Stati che dal Sahel portano alla Libia. Accordi di ritorno, pacchetti di aiuti per migliorare le economie, centri per l’accoglienza. Ci si muove, ma a fatica. Anche perché gli Stati membri dell’Ue non mettono i soldi che servono per finanziare la strategia concepita per evitare che tante persosne dall’Africa decidano di mettersi in marcia. L’Europa ha nei fondi fiduciari (‘trust fund’) il principale strumento di finanziamento della strategia europea, ma sono vuoti. “C’è una fiducia insufficiente nei loro confronti in alcune capitali, e quindi bisogna stabilire come procedere in tal senso”, riconoscono addetti ai lavori. Se ne parlerà domani in occasione del Vertice dei leader, con l’auspicio di trovare una quadra. E la volontà (economica) di procedere davvero.