Bruxelles – Scozia, Galles e Irlanda del Nord non vogliono uscire dall’Unione europea senza un accordo. “Sul tavolo non c’è opzione peggiore di un no deal”, ripete il negoziatore scozzese per Brexit Micheal Russell durante un incontro dell’European policy centre (Epc) a Bruxelles. Il ministro per le Finanze e il Governo locale gallese Mark Drakeford e la pro-rettrice dell’università dell’Irlanda del Nord Cathy Gormley-Heenan, annuiscono.
“L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è di per sé un evento drammatico, qualcosa che non vorremmo neanche dover negoziare ma arrivati a questo punto, è nostro compito cercare di ridurre il più possibile i danni”, continua Russell. Il ministro è preoccupato. Il 62% degli scozzesi votò contro la Brexit e, secondo lui, durante il referendum per l’indipendenza dal Regno Unito, molti si sono espressi contro una Scozia indipendente proprio per non andarsene dall’Ue. “Il 60% dello staff nelle nostre catene di macelleria è costituito da immigrati europei. Non possiamo mica rinunciare a tutti loro e fare della Scozia un Paese di vegetariani”, prova a scherzare.
Il nord irlandese Gormley-Heenan a scherzare non ci riesce. “Abbiamo passato gli ultimi vent’anni a fare dell’identità un concetto flessibile. Vogliamo davvero riportare in auge questa questione?”, domanda la vice rettrice in tono provocatorio. “Perché se prevediamo diritti diversi per i cittadini del Regno Unito e gli altri, non possiamo certo basarci sull’aspetto fisico per capire se hanno diritto ad usufruire di determinati servizi e saremmo costretti a chiedere ad ogni persona se è nord irlandese o irlandese“, puntualizza. A suo giudizio, il no deal rischia di cancellare il processo di pace sancito dall’Accordo del Venerdì Santo e Londra non può accettarlo. “Il problema è che, da Marzo, non siamo ancora riusciti a creare un governo e non c’è nessuno che preme su Londra affinché rispetti questo accordo. Così non possiamo far valere la nostra voce”, dice, correggendosi subito dopo. “Scusate, intendevo le nostre voci”. Il riferimento è agli unionisti e ai separatisti che siedono nel Parlamento regionale ma non sono riusciti ad accordarsi su quale debba essere la posizione dell’Irlanda del Nord sulla Brexit. Anche qui, il 56% dei votanti al referendum del 23 giugno 2016 si era espresso contro il divorzio dall’Unione.
Lo stesso non si può dire del Galles, dove la maggioranza si espresse per il Leave. Il ministro per le Finanze e il Governo Locale Mark Drakeford è però contento del periodo di transizione “che ci aiuterà a garantire la libertà di circolazione, ad assicurarci che i diritti di tutti i cittadini siano rispettati grazie alle sentenze della Corte europea di giustizia e a mantenere per più tempo l’Erasmus plus e Horizon 2020 di cui abbiamo tanto beneficiato”. Il fatto di avere altri due anni a disposizione significa per Drakeford “avere una possibilità in più di trovare un accordo perché non possiamo uscire senza. Sarebbe troppo pericoloso”, ha sottolineato il ministro gallese appellandosi al governo centrale affinché fornisca anche le prove per dimostrare che “gli accordi di libero mercato sono migliori dell’unione doganale europea, come sostiene da mesi”.
Se le trattative per il divorzio sono in una fase di stallo, l’Europa sta comunque già lavorando a preparare il mandato negoziale per la prossima fase dei negoziati, quella sul periodo di transizione e sulle future relazioni tra Ue e Regno Unito. “La speranza è che si facciano abbastanza progressi per poter passare alla fase due a dicembre”, spiega un’alta fonte del Consiglio europeo. I leader, continua la fonte “devono iniziare ora le discussioni perché per mettere a punto il mandato negoziale sulla prima fase ci vollero circa due mesi di discussioni”. A dicembre però non c’è la certezza che si superi lo stallo, “ma i leader Ue vogliono comunque essere pronti cosicché appena ci saranno avanzamenti sufficienti nei negoziati sulla fase uno, il mandato per la due sarà già pronto”.