Roma – “L’unico aspetto positivo di questa legge elettorale è che è uguale per la Camera e per il Senato”. La battuta laconica di un esperto in materia come il presidente del gruppo misto della Camera, Pino Pisicchio, trova almeno un pregio nella discussa riforma approvata ieri a Montecitorio. Secondo uno studio, chi ricercasse altre qualità, come la garanzia di un vincitore o un sistema politico stabile, farebbe molta fatica. Lo dicono le proiezioni di Ipsos pubblicate dal Corriere della sera, le quali indicano che la legge costata al governo un pezzo della maggioranza – e chissà se nel passaggio al Senato si aggiungeranno altri costi oltre alla già consumata rottura con Mdp – non consegnerà al Paese nessuna maggioranza, neppure una di larghe intese tra Pd, Forza Italia e tutto ciò che starà in mezzo.
Il governo ha superato i tre voti di fiducia che ha chiesto, ma rispettivamente con 307, 308 e 309 voti, quindi al di sotto della maggioranza assoluta di 316 (ma ieri in Aula c’erano molti assenti giustificati, in missione). Il patto del Pd con Fi, Lega e i centristi di Ap ha comunque retto anche i colpi dell’artiglieria, insufficiente, dei 66 franchi tiratori nascosti dal voto finale segreto sul provvedimento. Il Pd ha dunque vinto la battaglia sul campo, ma il prezzo politico rischia di essere eccessivo.
A creare problemi non sono tanto le accuse di aver partorito “l’ennesima porcata”, piovute dal M5S e dalle sinistre. È una critica che da qualche parte arriva sempre a ogni riforma elettorale, tanto che una, il porcellum appunto, fu definita “porcata” perfino dal suo stesso autore, il senatore leghista Roberto Calderoli. Il prezzo politico da pagare, per il Pd, arriverà adesso che bisognerà ricucire una maggioranza per la legge di bilancio da presentare la prossima settimana.
Le alternative sono due. Da un lato, provare a riallacciare i rapporti con Mdp. Gli ex compagni, di partito e di maggioranza, con Pierluigi Bersani hanno indicato più volte, fino a un paio di giorni fa, che non saranno loro “a far arrivare la Troika in Italia”. Bisogna vedere, però, se questo senso di “responsabilità” in materia di bilancio verrà confermato anche dopo lo scontro sulla legge elettorale, e alla vigilia di una campagna elettorale che Mdp dovrà condurre all’insegna della distanza dal Pd, a cui contende in sostanza lo stesso elettorato. Senza contare che il prezzo di questo riavvicinamento includerebbe, necessariamente, delle concessioni importanti sulla manovra al Movimento democratico progressista.
L’altra strada è pescare nel solito ‘bacino di soccorso’: i verdiniani di Ala e Forza Italia, due formazioni esterne alla maggioranza, ma finora sempre pronte a fare da stampella al governo, con voti a favore, astensioni o assenze strategiche a seconda delle necessità. Anche qui potrebbero arrivare richieste relative alla legge di bilancio. Tuttavia, il conto politico più salato per il Pd rischia di arrivare dopo, quando si apriranno le urne delle prossime elezioni politiche. La tesi dell’innaturale ma frequente “inciucio”, invocata in ogni occasione dai cinquestelle, acquisterebbe nuovi argomenti, riverberandosi in negativo sui consensi dei dem.
Resta quindi da capire a chi verrà pagato il conto. Quel che appare certo, però, è che il prodotto che si sta acquistando – perché, ripetiamo, l’approvazione in Senato non può darsi per scontata – è una legge elettorale che al Pd a quanto pare neppure conviene. Almeno così sembra al momento. Secondo le proiezioni Ipsos basate sulle attuali intenzioni di voto per la Camera dei deputati, il ‘Rosatellum’ garantirebbe appena 174 seggi a una coalizione tra il Pd e il centristi di Alfano. Con l’Italicum corretto dalla Corte costituzionale, invece, il Pd da solo ne prenderebbe 178. Paradossalmente, con la nuova riforma ci guadagnerebbero proprio le forze che l’hanno avversata. I cinquestelle prenderebbero 3 seggi in più, 178 invece che 175, così come Mdp, che avrebbe 23 deputati invece che 20. Forza Italia rimarrebbe in ogni caso poco sopra la Lega, e insieme, in coalizione con Fratelli d’Italia, prenderebbero 238 deputati contro i 240 del sistema oggi in vigore. Proprio la formazione di Giorgia Meloni sarebbe la più penalizzata. Con la riforma dimezzerebbe i 31 seggi di cui è accreditata con l’Italicum corretto. L’Ap di Alfano passa da zero a 11 più eventuali seggi nel maggioritario.
Né con il modello attuale né con il Rosatellum, secondo gli equilibri rilevati dai sondaggisti di Ipsos, ci sarebbe una coalizione in grado di governare. Quelle ‘convenzionali’ di centrodestra o di centrosinistra sono le più distanti dai 316 seggi della maggioranza assoluta, con il centrodestra sempre avanti di una quarantina di deputati. Non basterebbero neppure le larghe intese tra Pd, Forza Italia e centristi, un’alleanza ferma a 286 con l’Italicum e a 278 col Rosatellum. Non ce la farebbe di un soffio, infine, neppure un’eventuale alleanza euroscettica tra M5s, Lega e Fdi. Sarebbe la coalizione più forte con entrambi i modelli, oscillando dai 307 seggi dell’Italicum ai 310 del Rosatellum, ma dovrebbe conquistare almeno una manciata abbondante di deputati pronti al salto della quaglia il giorno dopo il voto.
Che passi o no la riforma elettorale, lo scenario che si prospetta è quindi di elevata instabilità, e rimane difficile capire perché, viste le proiezioni, tanto il segretario dem Matteo Renzi quanto il leader azzurro Silvio Berlusconi, abbiano fortemente voluto questa legge che sembra penalizzarli. O hanno in mano dei sondaggi e proiezioni diverse, o contano in una rimonta che, da qui alla data del voto che qualcuno già indica nel 4 marzo 2018, consenta di conquistare almeno quei seggi mancanti per una coalizione di larghe intese. Per questo il Rosatellum approderà in Senato già martedì prossimo. La volontà è quella di accelerare sull’approvazione per potersi lanciare nel clima da campagna elettorale già a partire dalla manovra di bilancio, che sarà uno dei terreni di scontro più aspro dei prossimi mesi.