Il progetto europeo è un progetto di unione, “Uniti nelle diversità” è il suo slogan. E la forza del progetto emerge proprio in queste settimane, nelle quali anche i desideri separatisti e secessionisti più forti non riescono a trovare una strada per realizzarsi.
Questi movimenti puntano a secessioni o all’abbandono dei 28, come hanno deciso i britannici scegliendo la Brexit, ma poi, alla prova dei fatti, il percorso si impantana, non trova le vie per procedere.
Era successo in Scozia un paio di anni fa, quando il referendum per la separazione dal Regno Unito fu bocciato dai cittadini, ma sta accadendo anche adesso al Regno unito nel suo complesso, con i negoziati Brexit che stagnano, anzi, possiamo dire che non sono proprio partiti, a parte la coreografia dei cinque “round” che si sono consumati sino ad oggi senza che uscisse un solo accordo su un qualsiasi tema.
Anche in Spagna l’indipendentismo catalano è frustrato. Un referendum, pur illegale, non si è svolto con il successo che i separatisti speravano e ieri il loro leader del momento Carles Puigdemont, ha (ragionevolmente, pensiamo noi) sospeso gli effetti per chiedere a Madrid un tavolo negoziale per gestire la separazione che pure, secondo il governo di Barcellona, dovrà esserci.
Mancano gli strumenti, le capacità tecniche e politiche per separarsi, in Europa. I protagonisti di queste vicende cui abbiamo accennato sono tutti uomini e donne politiche di profilo piuttosto basso: o non hanno capito quel che stavano provocando (David Cameron) o non hanno saputo gestire quel che hanno voluto fortemente prendere in mano (Theresa May e Carles Puigdemont) o sono evidentemente persi dietro una difesa autistica di una Carta costituzionale (Mariano Rajoy, fino a questa mattina).
La questione (a parte le carenze dei leader) è che la storia è andata avanti e continua a farlo, e certe caratteristiche si perdono, un po’ come nell’evoluzione delle specie. Il separatismo, come la coda che pare che una volta quelli che poi sono diventati uomini potessero aver avuto, non è più attuale, non serve più a niente, e dunque si sono perse le capacità di gestirlo. E’ diventato antistorico, dunque impossibile.
In Spagna si prende tempo dopo il referendum e in Gran Bretagna ci si sta rendendo conto di non poter fare a meno di certi profondi legami con l’Unione europea, e attraverso di essa con il resto del Mondo. E ci si rende conto, lo hanno detto i ministri, come Liam Fox, che i britannici non hanno neanche il personale e le capacità per gestire la separazione. Sono caratteristiche che si sono perse, come le zanne di alcune tigri, o le altre dita delle zampe di un cavallo. La società politica si è evoluta e la sua abilità è (dovrebbe essere) quella di fare altro, di fare quel che in passato non sapeva fare. Non ci sono più società, in Europa, basate sulla servitù della gleba e sarebbe semplicemente impossibile tornare ad immaginarle. Così come non è possibile immaginare la nascita di nuovi stati dalle viscere di altri.
I nuovi strumenti politiche che ha l’Europa, e non solo, sono quelli della sussidiarietà, della semplificazione, delle autonomie, all’interno di un quadro unitario nel quale, in teoria, proprio gli Stati nazionali dovrebbero col tempo perdere peso a vantaggio delle comunità locali sui fronti a loro più vicini e di più forti strutture transnazionali per le questioni di maggior dimensione. Dunque perché separarsi? In un Mondo in cui i processi e le forze sono transcontinentali perché creare nuovi Stati che non avranno più la forza di esistere di per sé?
E’ contro l’evoluzione, dunque non abbiamo più gli strumenti per farlo, dunque non può funzionare.