Bruxelles – “Voglio seguire la volontà del popolo della Catalogna di diventare uno Stato indipendente, chiedo al Parlamento il mandato per farlo ma propongo di sospendere gli effetti della dichiarazione d’indipendenza per stabilire un dialogo”. Nel suo discorso di fronte all’Assemblea regionale, il capo dell’esecutivo ha deciso di non alzare un muro contro muro ma, con una mossa piuttosto astuta, da una parte ha fatto capire che il processo di indipendenza è irreversibile, dall’altra ne ha sospeso gli effetti per dare spazio al dialogo. Un dialogo richiesto anche da numerosi appelli, sia a livello nazionale che internazionale, allo scopo di avviare le trattative con il governo nazionale. “Quello di oggi, è un gesto responsabile e mi appello a tutti, ai catalani così come ai cittadini spagnoli, a coloro che hanno manifestato per l’unione e a quelli che sono a favore della secessione: dobbiamo abbassare le tensioni”. Appena finito il discorso però, il governo Rajoy ha fatto sapere di considerare le parole di Puidgemont “una inammissibile dichiarazione di secessione” e di essere pronto a darne adeguata risposta.
Il leader degli indipendentisti ha parlato per circa mezz’ora, con tono fermo e deciso. Il suo discorso, previsto per le 18, è stato ritardato di oltre un’ora, probabilmente per portare avanti le ultime trattative, anche con la parte più estremista del suo schieramento che avrebbe voluto una dichiarazione di indipendenza immediata. Il presidente, che è stato interrotto due volte dall’applauso della parte dell’Aula a lui favorevole (l’opposizione è rimasta ferma e immobile per l’intero discorso), ha detto che con il referendum la Catalogna ha vinto il diritto all’indipendenza e “al rispetto da parte della Spagna” di questa volontà, ma precisando che solo “la democrazia e la pace” possono permettere dei passi in avanti in questo percorso. Questo non ha impedito al capo dell’esecutivo di condannare Madrid per le condizioni “estreme” nelle quali il referendum si è svolto. “Per la prima volta nella storia recente dell’Europa le persone sono andate a manifestare sotto attacco da parte della polizia. L’obiettivo non era solo quello di impedire le votazioni, ma di creare panico e paura, per impedire alle persone di andare a votare”, un obiettivo che “non è stato raggiunto perché più di due milioni di persone sono uscite e hanno votato”, ha rivendicato con orgoglio Puigdemont promettendo a coloro che sono stati feriti il primo ottobre di non dimenticare mai quanto è successo. Solidarietà è stata espressa anche ai ministri e ai funzionari “che sono stati incarcerati e che hanno dovuto confrontarsi con multe salatissime e repressione”.
Puigdemont non ha mancato di parlare della lunga storia della Catalogna. “Non siamo criminali, non siamo pazzi, non siamo dei ribelli. Dalla caduta del franchismo abbiamo contribuito a fare della Spagna quello che è, non solo da un punto di vista economico ma anche democratico”, ha detto aggiungendo che “quando la Costituzione del 1978 è stata approvata, la Catalogna pensava fosse un punto di partenza e non di arrivo come hanno poi dimostrato di volere le autorità spagnole”. A proposito di queste ultime, il capo dell’esecutivo ha detto che negli ultimi anni “c’è stato un costante tentativo di centralizzare il potere, di toglierlo a noi”, soprattutto dopo che il Parlamento regionale catalano ha approvato nel 2005 un nuovo statuto sulla sua autonomia. “Quel documento è stato approvato dall’85% dell’aula ed è stato ratificato dai cittadini con un referendum dove ha votato il 47% della popolazione. Il governo però non lo ha riconosciuto”.
“Abbiamo sempre dialogato, agito pacificamente ma questo non ci ha fatto ottenere nulla. L’unico modo per affermare la nostra indipendenza è andare avanti da soli”, ha detto Puigdemont secondo il quale “prima ancora della Costituzione c’è la democrazia” che non si manifesta a suo avviso solo nel rispetto della legge. Al tempo stesso, però, il presidente della Generalitat non crede che si possa trovare una soluzione al di fuori del dialogo “che ci è stato chiesto dall’ONU, dall’Ue e da tante altre personalità che vanno ascoltate”. Per questo ha scelto di sospendere gli effetti del referendum, nonostante la legge approvata dall’aula imponesse di procedere 48 ore dopo la proclamazione dei risultati.
La palla passa ora a Madrid e al premier Mariano Rajoy. Domani sarà la volta del suo discorso, sempre di fronte a un parlamento, quello nazionale al quale dovrà riferire le decisioni prese.