Bruxelles – Dopo le manifestazioni di piazza, Madrid passa alle minacce. “La dichiarazione unilaterale d’indipendenza non rimarrà senza risposta”, promette la vicepremier Soraya Saenz de Santamaria. Sulla stessa linea d’onda il vicesegretario alla comunicazione del Partito popolare spagnolo Pablo Casado. “Carles Puigdemont deve parlare con il suo avvocato: noi impediremo l’indipendenza con tutte le misure necessarie, senza rinunciare a nessuno strumento della Costituzione né del Codice penale”, ha affermato Casado al termine di una riunione della formazione politica ricordando che, per questi reati, “la costituzione prevede 15 anni per sedizione e 25 per ribellione”. Il vicesegretario ha anche detto che Puigdemont rischia di “finire come Companys”, il presidente del governo catalano arrestato e fucilato dai franchisti per aver dichiarato l’indipendenza della Catalogna nell 1934. “Mi riferivo solo all’arresto”, ha poi spiegato Casado per fermare le polemiche scoppiate, in rete e tra i politici, dopo le sue dichiarazioni.
Fraintendimenti a parte, i popolari hanno subito trovato l’appoggio dei socialisti. “Supporteremo la risposta dello Stato di diritto di fronte a qualsiasi tentativo di distruggere l’armonia sociale”, ha detto il leader del PSOE Pedro Sanchez spiegando però di essere pronto a “sostenere le giuste domande della Catalogna al Parlamento nazionale di Madrid” se gli indipendentisti faranno marcia indietro.
I socialisti non sono gli unici ad essersi schierati col governo centrale di Madrid. Nelle ultime ore, sia la Francia che la Germania hanno ribadito di essere a favore dell’unità della Spagna. Ma mentre la cancelliera Angela Merkel non ha fatto sapere cosa farà nel caso venisse dichiarata l’indipendenza, la ministra degli affari europei francesi Nathalie Loiseau ha chiarito che il suo Paese non riconoscerà la Catalogna. In un’intervista al canale CNews. Loiseau ha affermato che la Spagna è una democrazia che ha già concesso un livello di autonomia “particolarmente alto” alle sue regioni e “la crisi va risolta con il dialogo”.
Secondo Nils Muizniesk, non basta solo parlare, bisogna anche procedere per vie legali. Il commissario per i diritti umani al Consiglio europeo, ha inviato una lettera al ministro degli interni spagnolo Juan Ignacio Zoido Alvarez per invitarlo ad avviare un’inchiesta indipendente sulle violenze e l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia durante il referendum del primo ottobre. Alvarez, però, non pensa sia affatto necessaria e ha risposto con un secco “no”. “La consultazione è stata dichiarata illegale dal tribunale costituzionale che ha chiesto alle autorità di bloccare ogni iniziativa in contrasto con questa decisione e le forze armate hanno agito in modo prudente con l’obiettivo di far rispettare la legge e proteggere le libertà dei cittadini”, ha risposto il ministro commentando anche la decisione di un giudice di Barcellona, precedente all’intervento di Muizniesk, di indagare alcuni agenti della Guardia Civil e della polizia spagnola.
Quest’ultima, nel frattempo, è diventata responsabile della sicurezza del Palazzo di giustizia di Barcellona. La decisione è stata presa dal presidente del tribunale costituzionale Jesus Maria Barrientos, che ha affidato la competenza al corpo armato dopo averla tolta ai Mossos d’Esquadra, la polizia catalana che si è più volte rifiutata di intervenire per ostacolare il referendum.
Nel weekend, centinaia di migliaia di persone – 350.000 secondo la polizia, 930.000 secondo gli organizzatori – sono scese in strada al grido di “Hablemos”, “parliamo” e “indipendentisti traditori, in carcere”. Da Barcellona a Madrid, da Girona a Saragozza, molti hanno sfilato con la bandiera spagnola sulle spalle. “Non siamo nazionalisti, ma patriottici, crediamo nell’unità di questo Paese”, hanno spiegato alcuni.
Josep Borell ha preferito sventolare la bandiera europea. “Queste sono le uniche stelle di cui abbiamo bisogno, non quelle che ho visto questi giorni”, ha esclamato l’ex presidente del parlamento europeo, criticando la scelta di alcuni suoi cittadini di esibire il drappo catalano che si distingue da quello nazionale proprio per la presenza di una stella.
Insieme a Borell, hanno marciato anche il ministro della sanità spagnolo Dolors Montserrat, il premio Nobel per la letteratura Maria Vargas Llosa “contrario al golpe”, il presidente del partito politico Ciudadanos, Albert Rivera, il dirigente del partito popolare a Barcellona, Xavier Albiol, e il prefetto spagnolo in catalogna Enric Millo che nei giorni scorsi si è scusato coi suoi concittadini per le violenze della polizia durante il referendum del primo ottobre.
Assenti alle varie manifestazioni, organizzate dalla Società civile catalana (Scc) e dalla Fondazione per la difesa della nazione (Denas), il leader di Podemos, Pablo Iglesias, e Mariano Rajoy. Il premier spagnolo, spesso accusato di non essere all’altezza di gestire la situazione, ha seguito i cortei, ma da lontano. Poi ha twittato: “Recuperiamo il buon senso”. Il popolare si rifiuta di dialogare con la controparte e in un’intervista al quotidiano spagnolo El Pais ha confessato di non escludere nessuna opzione che possa ostacolare l’indipendenza. Nemmeno la sospensione dell’autonomia catalana con il richiamo all’articolo 155 della costituzione.
Le minacce non spaventano i secessionisti, Carles Puigdemont in primis. Secondo gli osservatori, il presidente dell’esecutivo potrebbe pronunciare la dichiarazione unilaterale d’indipendenza già domani anche se, sulla carta, il suo intervento dovrebbe solo servire a “parlare della situazione attuale”. Ma mentre i deputati del Cup premono, dal gruppo degli imprenditori catalani arriva l’invito a fermarsi dopo che molte società hanno deciso di spostare la propria sede fuori dalla regione. L’ultima è stata Aigues de Barcelona(Agbar), responsabile della distribuzione idrica a Barcellona, con il trasferimento a Madrid, ma prima ci avevano già pensato già Eurona Telecom Wireless, Oryzon Genomics e due tra i principali istituti finanziari del Paese: CaixaBank e Banco Sabadell.
“L’indipendenza potrebbe essere una bomba per l’economia catalana”, ha detto Juan José Brugera, presidente del Cercle d’Economia ( ndr. la confindustria catalana). “Gli stessi cittadini, con il panico bancario degli ultimi giorni, ritirando contanti, cambiando conto ed entità, hanno creduto alla possibilità dell’indipendenza mettendo sul tavolo le sue conseguenze. I mercati seguiranno”. Dopo il trend negativo delle ultime settimane, l’indice finanziario spagnolo Ibex35 ha però recuperato lo 0,5% e i risultati degli stress test della BCE non hanno evidenziato particolari fragilità nel sistema bancario spagnolo.
“Basta, parlatevi, parliamo”, hanno gridato anche i mille manifestanti che domenica pomeriggio si sono riuniti anche a Bruxelles, davanti al Parlamento europeo. “Siamo catalani, spagnoli ed europei”.