Roma – “Volete che la regione Sardegna si costituisca in Stato indipendente, libero e sovrano?”: sarà questo il quesito del referendum indipendentista sardo se il deputato Mauro Pili, del movimento Unidos, riuscirà a far passare la propria proposta di riforma costituzionale, che all’articolo uno recita: “Al popolo sardo, in base alla sua identità, condizione insulare, storia, lingua e cultura è riconosciuto il diritto di autodeterminazione”. Diritto da esercitare tramite referendum, appunto, che spetterà al Consiglio regionale indire sulla base di un voto a maggioranza assoluta dello stesso Consiglio o della richiesta sottoscritta da 100mila elettori.
Il deputato, che ha rilanciato la propria iniziativa per l’indipendenza sarda sulla scia delle rivendicazioni di questi giorni in Catalogna, promette battaglia se la sua proposta verrà dichiarata inammissibile dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. Già in passato, Pili aveva ricevuto una bocciatura per una proposta analoga. Oggi garantisce di aver rimosso con cura gli elementi passibili di censura. Quindi, se la proposta non sarà ammessa alla discussione, minaccia “ne scaturirebbe un contenzioso giudiziario di livello internazionale”. A suo avviso verrebbe “leso un primordiale diritto universale e quello di un parlamentare di svolgere la propria funzione legislativa”. Contro l’eventuale “vulnus giuridico costituzionale”, considerato “alla pari della mancata legittimazione del referendum catalano”, il deputato promette di creare “un casus tutto giudiziario, da affrontare sia nell’ambito della Corte di giustizia europea che a livello di Nazioni Unite”.
La proposta di legge, piuttosto confusa in alcune parti, punta a introdurre nella Costituzione italiana tutti i criteri per un referendum separatista – il testo stabilisce il quesito, chi ha diritto al voto e alcuni aspetti della transizione verso l’eventuale indipendenza – concedendone la possibilità solo ai sardi, e senza neppure preoccuparsi di abrogare la parte che prevede l’indivisibilità dello Stato italiano.
Se nell’ipotetico referendum la Sardegna scegliesse l’indipendenza, “le unità delle Forze armate della Repubblica italiana lasceranno entro 30 giorni” l’isola. Potranno restare solo quelle rientranti in un eventuale accordo tra il Consiglio regionale della Sardegna e il governo italiano, le quali “potranno essere utilizzate nei servizi di sicurezza e protezione civile”.
Bizzarra la norma che di fatto requisirebbe, almeno in via temporanea, il personale della Polizia e dei Carabinieri in servizio nell’Isola. La proposta di Pili, infatti, stabilisca che “le unità, i comandi e gli ugffici dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato continueranno a svolgere i loro compiti e ad esercitare le loro funzioni”, ma lo faranno “alle dipendenze funzionali della Giunta regionale in carica”. Questo varrà “sino a nuove elezioni per l’elezione del Parlamento e del nuovo governo sardo e dell’autorità giudiziaria competente”.
Sarà lo Stato italiano a continuare a pagare le pensioni: “Tutti i rapporti economici di natura previdenziale dei singoli cittadini sardi restano in carico agli enti preposti sino a nuove disposizioni”, recita il testo. E anche “tutti i rapporti lavorativi legati alla Pubblica amministrazione restano in capo allo Stato italiano sino alla definizione di apposite intese”.
Quello degli accordi bilaterali con l’Italia è un altro capitolo della proposta del deputato di Unidos, che prevede l’istituzione di “una commissione paritetica” per “definire entro un anno” vari aspetti della ‘Sardexit’: i rapporti economici tra Italia e Sardegna; quelli dei dipendenti della pubblica amministrazione dello Stato italiano; e “le misure di risarcimento per il mancato riequilibrio economico, infrastrutturale e sociale ai danni della Sardegna”. Anche qui, se non si troverà accordo entro un anno, è previsto un ricorso ad “apposito organismo terzo internazionale nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni unite”.
Tra bizzarrie e contraddizioni, la proposta di legge appare più una provocazione che una seria strada verso l’indipendenza della Sardegna. E che non sia la secessione il vero obbiettivo lo confessa anche lo stesso Pili, rivelando che l’intenzione è quella di predisporre uno strumento da utilizzare come deterrente verso lo Stato centrale. Basterà che la Costituzione italiana offra alla Sardegna la possibilità di convocare una consultazione indipendentista, è il ragionamento del deputato, perché i sardi abbiano una maggiore forza contrattuale per chiedere maggiore autonomia rispetto a quella riconosciuta in base allo Statuto speciale.