Bruxelles – Una moratoria immediata su tutti i rimpatri dei migranti afghani: è quanto richiesto da Amnesty International alle istituzioni europee e agli Stati membri. Anna Shea, ricercatrice canadese di Amnesty International, che ha curato il rapporto “Costretti a tornare in pericolo”, nella sede di Amnesty International Europa parla con Eunews di “politica europea sconsiderata” e di un “bicchiere di veleno” che il governo afghano ha dovuto bere in cambio di maggior supporto finanziario.
L’instabilità politica dell’Afghanistan mette in pericolo la vita dei cittadini. Che cosa vuol dire per un migrante afghano “tornare a casa”?
Amnesty ha intervistato molte famiglie afghane che hanno descritto con il terrore negli occhi la disperazione in cui sono finite dopo essere tornate di nuovo nella loro terra. La maggior parte di loro ha visto morire i loro cari in attentati. Si vive con il costante timore di essere perseguitati, torturati o stuprati per l’orientamento sessuale o per la fede religiosa. Ad esempio, un ragazzo che chiameremo Azad, dopo essere cresciuto in Iran, ed essere emigrato in Olanda con il fratello, è stato rimpatriato in Afghanistan all’inizio del 2017. Appena appresa la notizia, ha tentato di suicidarsi. Oram nella terra natia, è stato identificato come omosessuale dalle forze talebane che operano nelle periferie di Kabul e vive nascondendosi. Ha paura di venire riconosciuto, seviziato e ucciso. Una donna, che chiameremo Sadega, ha tentato di fuggire con la famiglia in Norvegia nel 2015, dopo che suo marito, di fede cristiana, era stato rapito, torturato e rilasciato dopo il pagamento di un riscatto. Le autorità di Oslo l’hanno rimandata indietro dandole la scelta di tornare “volontariamente a casa” con 10.700 euro, oppure essere rimpatriata con la forza. Arrivata in Afghanistan, suo marito è scomparso di nuovo. Dopo qualche giorno ha saputo che è stato ucciso. Oggi ha paura persino di recarsi a pregare sulla sua tomba. Questi rimpatri violano clamorosamente il diritto internazionale. I dati raccolti da Unama ( Missione di assistenza delle nazioni unite in Afghanistan) sono chiari: 11. 418 tra morti e feriti nel 2016. E nei primi sei mesi del 2017 il numero dei morti è salito a 5.423. Quelle stesse istituzioni che una volta si erano impegnate a migliorare il futuro degli afgani, adesso li stanno abbandonando al loro destino e si stanno rendendo complici delle atrocità che subiscono.
Perché l’Unione Europea respinge i richiedenti asilo afgani?
I governi e le istituzioni europee conoscono benissimo la situazione di pericolo della popolazione afghana. L’hanno riconosciuta firmando il “Joint Way Forward”, un accordo fra l’Ue e le autorità di Kabul per il rimpatrio dei cittadini afgani. In un documento riservato diventato pubblico, le agenzie europee avevano riconosciuto “il peggioramento della sicurezza e le minacce a cui vanno incontro le persone”. Tuttavia con spietatezza e cinismo, hanno insistito sul fatto che potrebbe essere necessario far “tornare in Afghanistan oltre 80 mila persone nel breve periodo”. Amnesty ha delle prove che sia stata la pressione del governo afghano sull’Ue a far sì che avvengano sempre più rimpatri. Il fine è uno solo: ottenere un maggior aiuto economico dall’istituzione. Un testimone anonimo ci ha rivelato che si è trattato di un “bicchiere di veleno” che il governo di Kabul è stato costretto a bere in cambio di maggior supporto finanziario. Tutto questo è inammissibile.
Che cosa chiede Amnesty all’Ue e agli Stati Membri?
Tra il 2015 e il 2016 il numero dei rimpatri in Afghanistan è quasi triplicato: da 3.290 a 9.460. In parallelo, la situazione in Afghanistan è peggiorata. Pretendiamo una moratoria immediata per sospendere il rimpatrio dei cittadini afgani.