Roma – È il 2020 l’anno in cui l’Italia raggiungerà il pareggio di bilancio previsto dalla Costituzione dopo il recepimento del Fiscal compact. Il Parlamento ha approvato l’autorizzazione chiesta dal governo per l’ennesimo rinvio dell’obbiettivo originariamente previsto per il 2014. Il sì dà all’esecutivo maggiore spazio di deficit per la manovra finanziaria, ed è arrivato contestualmente al via libera alla mozione che accoglie la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanzia 2017, il quadro all’interno del quale verrà scritta la Legge di bilancio da anticipare entro il 15 ottobre a Bruxelles, prima del varo del disegno di legge vero e proprio previsto entro il 20 ottobre.
L’autorizzazione al rinvio del pareggio di bilancio è arrivata con un’ampia maggioranza sia alla Camera, dove i numeri non sono a rischio, sia al Senato, dove le scaramucce di Mdp con il resto della maggioranza, dal sapore squisitamente elettorale, non hanno messo in discussione il provvedimento, passato con 20 voti in più del quorum necessario di 161, grazie anche al sì dei 12 senatori verdiniani di Ala.
È la risoluzione sulla variazione del Def che ha visto Mdp sfilarsi dall’alleanza di governo. Ma il testo appoggiato dall’esecutivo è passato comunque con una soglia superiore alla maggioranza assoluta, pur non necessaria. Sono stati 164 i senatori favorevoli, e secondo il deputato del Pd Roberto Giachetti “dimostrano in modo definitivo l’irrilevanza non solo politica ma anche numerica” del movimento degli ex compagni di partito Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema.
I voti al Senato sul Def dimostrano in modo definitivo l'irrilevanza non solo politica ma anche numerica di Mdp.
— Roberto Giachetti (@bobogiac) October 4, 2017
In effetti, la maggioranza ha compensato l’assenza dei voti di Mdp con alcuni soccorsi esterni. In primis quello del gruppo che fa capo al senatore Denis Verdini, determinante come già accaduto in passato con il governo Renzi. Poi un senatore di Forza Italia, Domenico Auricchio, “perché qua nessuno vuole andare a casa”. E Perfino un senatore del Movimento 5 Stelle, Nicola Morra, che ha dichiarato di aver commesso un “errore materiale”. Non c’è motivo per dubitarne. Tuttavia, come ha fatto notare il vicepresidente di Palazzo Madama, Maurizio Gasparri, “qui al Senato ne trovi quanti ne vuoi che votano con il governo: nessuno vuole fermarsi prima (della fine della legislatura, ndr), anche perché qui, molti, ci torneranno in gita scolastica”.
Ecco perché le scaramucce di Mdp non preoccupano molto l’esecutivo e il suo presidente, Paolo Gentiloni, che su Twitter ha definito il via libera di oggi “un voto all’insegna di responsabilità e stabilità”
#Senato approva il quadro economico-finanziario della prossima legge di bilancio. Un voto all'insegna di responsabilità e stabilità
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) October 4, 2017
Incassato il sì allo slittamento del pareggio di bilancio, anche la mozione di maggioranza sulla variazione del Def è un sostanziale via libera alla manovra anticipata ieri dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in audizione in Parlamento. Gli impegni cui le Camere richiamano l’esecutivo ricalcano infatti tutte le misure già indicate da Via XX Settembre. Dalla disattivazione dell’aumento Iva previsto per il 2018 – il governo ha già indicato che congelerà in parte anche quello ulteriore che dovrebbe scattare dal 2019, mentre l’aumento delle aliquote previsto per il 2020, pari a un 1,1% del Pil, viene confermato – agli sgravi contributivi per i giovani neoassunti a tempo indeterminato, alle agevolazioni fiscali per le imprese che investono in beni strumentali e all’incremento delle risorse per il reddito di inclusione e il sostegno alle famiglie.
La battaglia si sposterà ora sulla Legge di bilancio, che dovrà rispondere alla necessità del Pd di recuperare consensi, e degli alleati più piccoli, tanto i centristi di Ap con il ministro Alfano, tanto gli ex dem di Mdp, di marcare delle differenze dal principale partito della maggioranza e ottenere delle concessioni da poter sventolare come vessilli in campagna elettorale. Il tutto nella cornice del consueto confronto con la Commissione, che quest’anno sembra però meno turbolento. Un po’ per le migliori condizioni economiche in cui si trova il Paese, un po’ perché a Bruxelles, in fondo, non resta che puntare sul Pd, per evitare di avere al governo una forza ostica come i 5 Stelle o una coalizione di centrodestra legata all’ancor più ostica accoppiata Lega Nord e Fratelli d’Italia.