Bruxelles – La Commissione europea continua nella sua battaglia contro i colossi di internet e i regimi fiscali concessi loro da alcuni Stati membri. L’Irlanda finirà davanti alla Corte di giustizia dell’Ue per non aver riscosso le tasse non versate da Apple e di cui Bruxelles aveva ordinato il recupero, mentre per il Lussemburgo si apre il contenzioso per gli aiuti concessi ad Amazon. Sono due delle decisioni prese dal collegio dei commissari nell’ambito dell’approvazione del pacchetto mensile di infrazioni, e sono decisioni rilevanti. C’è un molteplice scontro in atto nel nome dell’equità fiscale: lo scontro con grandi imprese, lo scontro con gli Stati membri che avrebbero garantito ‘scappatoie’ e, sullo sfondo, lo scontro con l’amministrazione statunitense. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, potrebbe avviare una guerra commerciale con l’Ue. I precedenti del resto non mancano.
La Commissione ha deciso di portare ulteriormente avanti la procedura d’infrazione contro l’Irlanda. Nel 2016 aveva preteso il pagamento di 13 miliardi di euro di tasse non pagate da Apple all’erario dell’isola. Un’operazione di cui è responsabile il governo, che però “non ha proceduto neppure parzialmente” al recupero, spiega il commissario per la Concorrenza, Margrethe Vestager. Da qui la decisione di portare il caso davanti alla Corte di giustizia europea. Spetterà ai giudici di Lussemburgo a questo punto mettere la parola “fine” a questa storia.
Inizia invece la saga di Amazon. Il Lussemburgo avrebbe garantito alla società di vendite on-line vantaggi fiscali “illegali” pari a 250 milioni di euro grazie ad accordi privilegiati considerati contrari alle regole Ue sugli aiuti di Stato. Ora se ne chiede il recupero “più interessi”, precisa Vestager. Grazie al sistema di scatole cinesi Amazon avrebbe spostato la tassazione degli utili da una società collegata al gruppo ad un’altra. “Quasi tre quarti degli utili della società non sono stati tassati”, spiega il responsabile dell’Anitrust comunitario, secondo cui “è stato concesso ad Amazon di pagare quattro volte meno imposte rispetto ad altre imprese locali soggette alle stesse regole”.
Di fatto Juncker sconfessa sé stesso. La Commissione da lui presieduta contesta accordi fiscali siglati tra Lussemburgo ed Amazon nel 2003 e rinnovati nel 2011, periodo in cui Juncker era a capo del governo del Granducato. Le conclusioni della direzione generale per la Concorrenza, condivise e approvate dal collegio dei commissari, stabiliscono che l’accordo fiscale in questione “ha ridotto le imposte versate da Amazon in Lussemburgo senza alcuna valida giustificazione”, e di conseguenza tale accordo “è contrario alle regole comunitarie sugli aiuti di Stato”. Vuol dire che è stato riconosciuto che l’attuale presidente dell’esecutivo comunitario all’epoca dei fatti agì contrario alle regole che oggi chiede di rispettare.
Amazon annuncia azioni legali, “incluso l’appello”. Contesta la decisione, come la contesta il ministero delle Finanze di Lussemburgo, secondo cui non c’è nulla di contrario alle regole. Secondo il dicastero la Commissione si è espressa su accordi fiscali ‘vecchi’. “Nel corso del tempo, sia il sistema giuridico nazionale sia il sistema giuridico internazionale si sono evoluti. Amazon è stata tassata secondo le regole fiscale applicabili in quel momento, e quindi il Lussemburgo considera che non siano stati garanti aiuti di stato incompatibili”. Le premesse sembrano suggerire che il Lussemburgo non chiederà indietro i 250 milioni di euro. Se così fosse si aprirà un’altra causa in seno alla Corte Ue.