Bruxelles – Critiche al primo ministro Mariano Rajoy per le “violenze”, mai accettabili in un contesto democratico, ma comunque piena fiducia per colui che resta comunque l’unico interlocutore ufficiale a livello politico, perché a Bruxelles il referendum catalano è considerato “illegale” ai sensi della Costituzione spagnola. Un linguaggio cauto, abbottonato, attento a non sbilanciarsi troppo, quello scelto dalla Commissione europea sulle vicende di Catalogna. Un comunicato studiato per bene, cui ha fatto seguito un incontro con la stampa internazionale in linea con la nota ufficiale.
I giornalisti, tanti, tantissimi, accorsi per il tradizionale briefing dell’esecutivo comunitario, hanno provato in tutto i modi a cavare una frase, una parola, un’esitazione, che potesse ‘tradire’ il portavoce Ue così da far capire qual è la posizione della Commissione europea su un tema ufficialmente considerato come squisitamente interno agli affari spagnoli. Ma niente, l’abile Margritis Schinas è riuscito a mantenere intatto il muro eretto a Bruxelles sulla Catalogna.
Molto, in realtà, è stato detto. Forse niente di nuovo, ma comunque degno di rilievo considerato il contesto. “La Commissione europea crede che questo sia il tempo dell’unità e della stabilità e non il tempo di divisioni e frammentazioni”. Una frase con cui di fatto l’esecutivo comunitario non condivide questa fase della vicenda e si esprime contro un’eventuale secessione catalana. Se poi questa dovesse realmente accadere, si vedrà.
La presa di posizione non è netta né perentoria. È vero che viene a ricordare la natura contraria alla Costituzione del referendum, tuttavia si precisa che la questione va risolta a livello interno. Se Rajoy o chi per lui dovesse intavolare trattative con Barcellona, a Bruxelles ci si rimetterebbe agli esiti di tali negoziati. Cose dette senza essere dette, come vuole la logica di questa affannata Commissione, che si sforza di essere politica in un’Europa dove la politica è lasciata agli Stati membri. Però il passaggio del comunicato diramato, in cui si invitano “tutti gli attori rilevanti a passare dallo scontro al confronto”, evidenzia proprio questo.
Il presidente dell’esecutivo comunitario, Jean-Claude Juncker, proverà a discutere con Rajoy questo pomeriggio, in una telefonata che servirà a chiarire la situazione e a cercare di capire come gestire, magari anche con qualche consiglio europeo, gli scenari che si aprono o rischiano di aprirsi sulla scia del voto e degli scontri che lo hanno accompagnato. Una telefonata d’obbligo, tanto più che Rajoy fa parte della stessa famiglia politica di Juncker, il Partito popolare europeo (Ppe).
La crisi catalana indebolisce tutti, e tutti hanno interesse a che si risolva. Sembrano esserne consapevoli, e tanto, proprio al Ppe. “È vero che il Ppe ha chiesto di non intervenire sulla questione?”, una domanda posta dalla platea della gremita sala stampa della Commissione. “Chiedete al Ppe”, la risposta di Schinas, che non conferma ma neppure smentisce. “La Commissione risponde adesso perché questo è ciò che abbiamo deciso”, la frase a difesa dell’autonomia dell’istituzione.
La Catalogna agita ancor di più il Parlamento europeo che si è diviso sui tempi e modi del dibattito sui fatti della Catalogna. Verdi, Sinistra Unita Gue ed euroscettici Efdd avrebbero voluto parlarne immediatamente, già domani (martedì). Socialisti e liberali proponevano mercoledì e i popolari addirittura giovedì. Diversi anche i titoli che i deputati volevano dare al dibattito. Verdi e Gue chiedevano fosse “Violenza della polizia contro cittadini pacifici in Catalogna”. “Anche se ci saranno diverse visioni sul referendum non possiamo girarci dall’altra parte, dobbiamo essere uniti nel dire che la violenza non serve mai a risolvere i conflitti politici, serve il dialogo e la Commissione deve fingere da mediatore in questa vicenda”, ha affermato la capogruppo dei Green Ska Keller.
“Siamo anche noi preoccupati per la violenza e la mancanza di dialogo ma il problema è più grande”, ha affermato a nome dei socialisti Maria João Rodrigues chiedendo che il dibattito fosse incentrato su “Costituzione, Stato di diritto e diritti fondamentali in Spagna alla luce degli eventi in Catalogna”. “Vedere l’operato della polizia, il sequestro delle urne elettorali ci fa capire che è una questione di Stato di diritto ma dobbiamo discutere anche delle azioni della polizia, di diritto all’autodeterminazione”, perché “è questa una questione che potrebbe diventare un serio problema diplomatico nei prossimi anni”, ha spiegato a nome dell’Efdd Jonathan Arnott dell’Ukip. Il gruppo euroscettico ha chiesto, da solo, che oltre al dibattito in Aula ci fosse anche una risoluzione da votare.
Ma è stato l’intervento del popolare Esteban González Pons che ha spinto l’Aula a trovare una mediazione: “Sono il primo spagnolo a prendere parola oggi e voglio dire questo: siamo tutti coscienti della gravità della questione e per questo non può essere trattata in modo superficiale”. González Pons ha affermato poi che “non si tratta solo delle immagini di ieri che tutti noi non avremmo voluto vedere, in gioco c’è di più: c’è anche la dichiarazione unilaterale di indipendenza preannunciata per giovedì che è contro la costituzione e che può dividere in due il mio Paese”. Per questo González Pons ha chiesto “con tutto il rispetto e la serietà possibile di votare la proposta maggioritaria”, in quanto ci sono “cose con le quai non si può scherzare, noi siamo per unire e non dobbiamo concorrere a dividere e rompere”. L’Aula alla fine ha appoggiato la proposta socialista e fissato il dibattito come primo tema in discussione mercoledì, chiedendo anche alla Commissione europea di parteciparvi.
ha contribuito Alfonso Bianchi da Strasburgo