Roma – Non sono le elezioni tedesche la chiusura del cerchio necessaria a far ripartire i lavori nel cantiere europeo. Sono quelle italiane, “cruciali perché una gran parte dell’opinione pubblica” si mostra “scettica” verso l’Ue, a preoccupare di più Paulo Rangel, parlamentare europeo, vicepresidente del gruppo Ppe e a capo del think tank European ideas network. Ma questa preoccupazione non è abbastanza per fargli mandare giù a cuor leggero una possibile convivenze tra partiti popolari e formazioni euroscettiche. Eunews ha intervisato Rangel a margine di uno dei dibattiti della due giorni organizzata proprio dall’Ein a Roma. Un appuntamento che ha portato in Italia anche il presidente del Ppe, Joseph Daul, il quale si è recato ad Arcore dal leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e ha incontrato gli esponenti degli altri partiti centristi per provare a costruire un’alleanza popolare in vista delle elezioni politiche della prossima primavera. Missione difficile, visto che il partito azzurro sembra più orientato a un’alleanza con la Lega Nord di Matteo Salvini. Il matrimonio ai popolari europei non va molto a genio, come traspare dalle parole di Rangel, il quale invece apprezza Macron e auspica il ripetersi, in Italia e in Europa, di un’esperienza analoga a quella di En Marche.
Onorevole Rangel, qual è il suo giudizio sull’Iniziativa europea presentata dal presidente francese Emmanuel Macron?
È stato un discorso molto coraggioso e ambizioso. Ridà all’Unione europea l’anima di cui ha bisogno. Ci serve questo tipo di ispirazione. Anche se le proposte erano varie – alcune molto buone, altre verranno accolte negativamente, alcune si possono implementare e altre no – lo spirito complessivo è di fiducia nel progetto europeo, nel fatto che sia positivo per le nazioni europee, per gli Stati membri. È una prospettiva totalmente differente rispetto alla demagogia di altri leader, la cui retorica spesso si riduce a sostenere che tutti i risultati positivi si ottengono a livello nazionale e per quelli negativi la colpa è dell’Ue. Macron prova a mostrare che abbiamo molti vantaggi a vivere insieme e mettere insieme le nostre eredità. Credo quindi che questo sia un notevole passo verso la realizzazione di alcuni dei nostri programmi. In particolare quello per la difesa, che è una priorità del discorso di Macron, per le migrazioni, la sicurezza e l’asilo e, infine, per la riforma dell’Eurozona. Questi tre grandi capitoli devono essere affrontati. Certamente dovremo attendere la formazione del governo tedesco, e probabilmente il processo sarà piuttosto lento, e io ritengo dovremo attendere anche le elezioni italiane.
Anche quelle possono essere un punto di svolta?
Alcuni pensano che le elezioni in Germania chiudano il ciclo di rinnovamento delle leadership nell’Ue, ma dimenticano che il risultato delle elezioni italiane è cruciale, perché c’è ancora una gran parte dell’opinione pubblica, o almeno dei partiti principali, che è scettica rispetto alle questioni europee e all’approfondimento dell’integrazione.
Un’esperienza come quella di Macron in Francia, quella di un partito fortemente europeista che ha sconfitto tanto gli euroscettici quanto i vecchi partiti, è ripetibile in Italia, e magari anche in Europa al prossimo rinnovo dell’Europarlamento?
Penso sia possibile, sì, ed è auspicabile.
Anche se il movimento di Macron, En Marche, non è nella famiglia del Ppe?
È vero, non è nella nostra famiglia, ma non è molto distante da noi. Ci sono molti valori che ritengo possiamo condividere, e ci può essere una camera di dialogo tra il movimento En Marche che supporta Macron e i partiti del Ppe, in particolare Les Repubblicains (il partito fondato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy come evoluzione dell’Ump, ndr).
Torniamo alle elezioni italiane, di cui sottolineava l’importanza. Tra un’alleanza Forza Italia-Lega Nord e una coalizione post elettorale tra il partito di Silvio Berlusconi e il Pd, tifate per la seconda?
Per noi, ciò che è essenziale è che l’Italia possa essere governata da partiti che credono nel progetto europeo. Non sto qui a mettere le bandierine su quale partito ci creda e quale no, ma è chiaro che il Ppe è decisamente a favore dell’Unione europea e dell’integrazione. È il nostro marchio di fabbrica, il nostro Dna. Quindi, non possiamo supportare partiti che hanno visioni anti europee e neppure euroscettiche. Ovviamente, a volte dobbiamo fare dei compromessi all’interno dello spettro politico dato, ma ciò non significa che possiamo avallare politiche che ostacolino l’integrazione europea.
Il Ppe, quindi, non sosterrebbe la proposta di una valuta parallela all’euro, uno dei compromessi sui quali si sta cercando l’intesa tra Salvini e Berlusconi.
Non è una proposta in discussione. No. Non possiamo accettare questo tipo di proposte alternative. Credo che ognuno debba fare il proprio lavoro, ma il Partito popolare europeo è chiaramente europeista e non possiamo creare una moneta parallela all’Euro. Questo distruggerebbe i compromessi dell’Eurozona. Dobbiamo essere molto chiari sul cuore delle politiche europee e non dovremmo tentare vie nazionalistiche per trovare soluzioni ai problemi.
Cosa cambia nel Partito popolare europeo dopo il risultato del voto in Germania?
Nel Ppe non cambierà nulla. Il risultato della Cdu è normale dopo 12 anni di governo. Ora abbiamo un partito fortemente pro europeo – pur con alcune politiche che non condividiamo – che sono i verdi, e un altro che abitualmente lo è stato ma adesso è euro-riluttante, i liberali. Penso che si possano compensare tra loro. Sono ottimista e mi aspetto che, alla fine di un lungo e faticoso negoziato, avremo in Germania un governo con le idee della Cdu, perché il bilanciamento tra i liberali e i verdi è il ‘mainstream’, e il mainstream è la Cdu con la linea di Angela Merkel. Non sono preoccupato per la situazione politica tedesca, anche se sono consapevole che comporterà rallentamenti sul piano eropeo.
Sarà più difficile il dialogo in Consiglio Ue?
No, ma al momento Merkel non ha pieno mandato per condurre negoziati finché non sarà nuovamente in carica il nuovo esecutivo. L’aspetto veramente negativo di tutto ciò, a mio avviso, è che avremmo potuto raggiungere alcuni risultati prima delle elezioni italiane, se la Cdu fosse uscita più forte dalle urne. Invece, Merkel sarà impegnata nei negoziati per la formazione di un esecutivo fino a gennaio – credo serviranno 3 o 4 mesi per chiudere un accordo di governo – e quindi non avremo prospettive di sviluppi futuri prima delle elezioni in Italia. Non potremo mostrare all’elettorato italiano che ci sono strade nuove e diverse in Europa. È questo il mio principale rammarico per le elezioni tedesche: non ci consentiranno di realizzare una visione o un progetto che possa aiutare le forze pro europee del vostro Paese in campagna elettorale.