Bruxelles – A due giorni dal referendum sull’indipendenza la Catalogna non molla e oltre a chiamare, ancora una volta, l’Ue a rivestire il ruolo di mediatore, ribadisce la disponibilità a dialogare con Madrid e sembra profilare la possibilità di un rinvio del voto, che comunque è il presupposto a qualsiasi confronto con il governo spagnolo.
A parlare da Bruxelles è stato il ministro degli Esteri del governo catalano, Raül Romeva, che ha espresso preoccupazione per “la democrazia spagnola che si deteriora di giorno in giorno”. Ricordando le parole pronunciate dal presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker che aveva parlato di “un’Europa grande per le grandi cose e un’Europa piccola per le piccole cose”, Romeva ha voluto chiarire che la questione catalana è “una cosa grande e richiede di essere trattata dall’Unione con il dovuto peso”. Anche la sindaca di Barcellona Ada Colau ha chiesto una mediazione della Commissione europea attraverso una lettera ai sindaci delle capitali degli altri 27 Stati dell’Unione. Però poco dopo un portavoce della Commissione Ue ha risposto ancora picche alla richiesta, affermando che “questa richiesta, formalmente, non è arrivata”, intendendo probabilmente che un eventuale passo in questo senso potrebbe esser fatto solo se il governo di Madrid, in quanto rappresentante di uno Stato membro, lo chiedesse.
E la credibilità dell’Unione, secondo il catalano, non si gioca tanto sul voto, ma piuttosto “sulla risposta che il governo spagnolo sta dando”. Ciò che sta dimostrando la Spagna è che “l’eredità del regime franchista è ancora presente nel Paese. Basta vedere chi occupa certe posizioni”, ha incalzato Romeva, affermando che “il processo di transizione che avrebbe dovuto portare all’affermazione dello Stato di diritto nel Paese sta fallendo”. Per questo, il ministro chiede “razionalità” e “soluzioni democratiche” a Madrid che “dice di voler difendere la costituzione, ma sta, essa stessa, violando la costituzione”.
Romeva ha tenuto a ricordare che l’art.2 del Trattato dell’Ue prevede “il rispetto della libertà, della democrazia e dei diritti umani, compresi quelle delle minoranze”. Diritti che, invece, “Madrid sta deliberatamente violando” e che “dovrebbero essere difesi dall’Ue visto che i cittadini catalani sono, anche, cittadini europei”.
“Ciò che mi aspetto dalle istituzioni europee – ha affermato – è che capiscano che questa situazione va risolta attraverso il dialogo politico”. “Lo spazio per trovare un accordo c’è”, ha assicurato Romeva, ma ciò che manca è la “volontà dell’altra parte in causa (il governo spagnolo, ndr) di sedersi al tavolo e discutere”. “Noi siamo pronti e abbiamo fatto già numerose offerte alla controparte”, ha ribadito, sottolineando che l’unica precondizione che il governo catalano è disposto ad accettare per instaurare il dialogo, oltre che al riconoscimento del diritto di tenere un referendum “chiesto dall’80 per cento dei cittadini, che siano per il Sì o per il No”, è “l’assenza della violenza”.
Insomma, se Madrid vuole sedere al tavolo negoziale che Barcellona chiede, dev’essere chiaro che non gli sarà concesso nessun margine di manovra sul referendum che per i catalani “non è un punto negoziabile”, visto che “l’80% della popolazione – ha ripetuto più volte il ministro – chiede di procedere in questa direzione”. Se a vincere sarà il Sì il primo passo sarà quello di “aprire un periodo di transizione, sulla base di una legge già votata dal Parlamento catalano e istituire un’assemblea costituente”, ha assicurato Romeva. Se invece, a vincere sarà il No, la volontà dei cittadini “verrà riconosciuta, il governo regionale darà le dimissioni e ci saranno nuove elezioni”.
A soli due giorni del referendum, dunque, l’unica prospettiva possibile per Madrid, nel caso in cui decidesse di avviare i negoziati, sarebbe quella di prendere tempo e provare ad ottenere il rinvio del voto e negoziare una, eventuale, transizione ordinata.