Berlino – Le elezioni tedesche del 24 settembre oltre a sancire l’affermazione della formazione populista di destra, Afd, Alternative Für Deutschland, che ha ottenuto il 12,6% dei consensi e 96 parlamentari eletti, ha evidenziato anche la crisi dei due partiti tradizionali, Cdu e Spd, che hanno rispettivamente ottenuto 33% e 20,5%, registrando la più grande sconfitta dal 1949.
Il primo, guidato cancelliera Angela Merkel, ha visto la migrazione di 1 milione di elettori verso il partito populista, il secondo ha invece pagato 4 anni di coalizione con Merkel, nella quale non è riuscito a far valere il proprio programma e a esprimere le proprie posizioni.
La sconfitta del partito democratico cristiano, nasconde al suo interno la ben più grande crisi della compagine politica bavarese, Csu, guidata da Horst Seehofer. Il partito bavarese è quello che più aveva osteggiato, negli ultimi 4 anni, le politiche di Merkel sui rifugiati ma anche quello che la aveva rieletta come candidata cancelliera. Anche Csu, come gli altri partiti maggioritari, ha visto una fuga di elettori verso Afd, che ha conquistato gli elettori al suono di “Noi facciamo ciò che Csu promette”.
Seehofer è sotto pressione: Csu ha perso più di dieci punti percentuali in Baviera, e per la prima volta dal 1949 è scivolata sotto il 40% alle elezioni per il Bundestag, in alcune parti della Baviera orientale AFD ha raggiunto circa il 20 per cento. La Csu ora teme per la maggioranza assoluta nelle elezioni regionali del prossimo anno.
Lo spostamento di Spd all’opposizione e una fetta importante dell’elettorato che chiede un cambiamento potrebbero avere un’influenza profonda sulle politiche del prossimo governo, che sebbene ancora non è chiaro da chi sarà formato, sembra indirizzarsi verso una coalizione tripartita tra Cdu/Csu-Verdi-Fdp. Sulla formazione delle coalizioni peseranno le richieste non solo dei due partiti minori, Fdp e Verdi (Die Grüne), ma anche quelle di Csu, che è intenzionata, come del resto la cancelliera, a riconquistare voti a destra. Il cambio di direzione potrebbe influenzare non solo la politica interna tedesca, ma soprattutto quella esterna, di conseguenza europea.
Quasi certamente dopo il rifiuto di Martin Schulz, il candidato cancelliere di Spd, di formare una nuova Große Koalition, spingerà dunque Angela Merkel a proporre ai liberali, Fdp, e ai Verdi di formare un governo di coalizione. La cosiddetta Giamaica, appellativo dato dai media tedeschi alla coalizione dovuto ai colori dei tre partiti: nero, giallo, verde, come la bandiera di quel Paese.
Tutti e tre gli schieramenti hanno già dichiarato che le trattative per un nuovo esecutivo saranno “difficili” e basta vedere i programmi elettorali per capirlo. Fdp vuole ridurre le tasse, mentre i verdi vorrebbero inserire una tassa sulle proprietà; i liberali vorrebbero avviare un programma di rimpatri per i richiedenti asilo provenienti da paesi considerati “sicuri”, mentre gli ecologisti si oppongono con forza a questa eventualità. I due partiti provengono da universi culturali profondamente differenti: mentre Fdp, capitanato da Christian Lindner, ha come mantra quello dell’economia di mercato, i Grūne, guidati dalla coppia Cem Özdemir e Katrin Göring-Eckardt, basano tutte le proprie politiche sul clima.
Un ulteriore elemento di confronto potrebbe derivare anche dallo scandalo Dieselgate. Se il partito di Özdemir è per una società Carbon Free e per comminare multe salate ai produttori di auto, la Csu di Seehofer è per una politica meno restrittiva e più orientata a difendere l’industria automobilistica tedesca. Altro punto cruciale, per l’Italia e per Bruxelles, sarà la politica europea del futuro governo tedesco. “Perseguiremo una politica europeista”, ha dichiarato la cancelliera. “L’Europa – ha aggiunto – sarà tema centrale dei colloqui” tra i futuri partner di governo. Ma anche qui bisognerà vedere le posizioni degli alleati. Se infatti i Verdi sono un partito apertamente europeista, i liberali sono meno favorevoli al controllo di Bruxelles e vorrebbero una maggiore libertà, in particolare a Francoforte.
A questo punto, se la mediatrice Angela Merkel riuscisse a trovare una soluzione all’impasse, bisognerà sciogliere il nodo dei ministeri, anch’esso piuttosto complicato. E’ in discussione, come anticipato da Eunews, che il falco Wolfgang Schäuble non sia più il ministro delle Finanze, ma, secondo fonti politiche a Berlino, diventi presidente del Bundestag.
Peraltro il dicastero delle Finanze è molto ambito da Fdp, che vorrebbe piazzare lì il vicepresidente del partito Wolfgang Kubicki, nome buono per essere speso anche all’Interno. Sempre per le Finanze ci sarebbero i nomi di Thomas De Maiziere, attuale titolare dell’Interno e quello di Ursula Von Der Leyen, fino ad oggi alla difesa.
I Verdi vorrebbero non meno di tre ministeri, ma sembra difficile che li possano ottenere a causa del posizionamento come sesta forza alle elezioni. Uno per Özdemir, gli Esteri, anche se sembra difficile che un ministero così importante venga affidato ad una forza che ha ottenuto l’8,9%. Un secondo per Goring-Eckardt, che punterebbe ad un ministero su ambiente, digitale e sviluppo. Anche qui potrebbe crearsi una frattura con Fdp che ha puntato tutta la campagna elettorale su digitalizzazione e sviluppo.
In ogni caso, nonostante i partiti minori stiano facendo già delle ipotesi su coalizione e ministeri, prima di tutto servirà una “piattaforma comune” tra Cdu e Csu per stabilire gli obiettivi di governo. La paura di Seehofer è quella che una continuazione di un governo simile a quello dell’ultimo quadriennio potrebbe affossare ancora di più il suo partito, quindi, il politico bavarese punterà ad una rottura e spingerà per delle politiche differenti e innovative, come peraltro richiesto da Christian Lindner, che ha messo come unico paletto ad una coalizione una rottura con il passato.
Intanto, mentre a Berlino si cercano le possibili alleanze, alla prima conferenza stampa della vera novità del panorama politico tedesco Afd, Frauke Petry, presidente del partito, all’insaputa dei propri compagni, ha dichiarato che non farà parte del gruppo del partito al Bundestag.
“Ci sono divergenze aperte nell’Afd e non dobbiamo chiuderle in una tomba”, ha detto, sostenendo che il partito è in totale anarchia. “Con una concorrenza così debole avremmo dovuto prendere anche più del 20 per cento, se non l’abbiamo fatto è perché spaventiamo i nostri cittadini”, ha detto riferendosi alle affermazioni nostalgiche dei suoi colleghi nelle ultime settimane.
Frauke Petry è da tempo in rotta con il proprio partito. Le prime avvisaglie si avvertirono quando decise ad aprile di non essere la Spitzenkandidatin, candidata cancelliera, accusando l’ala più radicale del partito di osteggiarla.
La rottura ha subito riaperto il dibattito sull’affidabilità e la coesione interna dello schieramento populista. Il partito non sembra avere una linea chiara e mostra al suo interno un’ala più moderata ed una più estremista che non rinnega chiaramente il nazionalsocialismo e ha posizioni xenofobe.