Berlino – Il distretto di Marzahn-Hellersdorf è un insieme di blocchi di cemento squadrati, freddi e imponenti che si distende su un’area nella periferia nord-est di Berlino, quasi come un’isola al di fuori della città metropolitana, così moderna, connessa e “cool”. Dalla torre di osservazione nella stazione intermedia della funivia che porta al Kienberg è possibile vedere quell’insieme di rettangoli, a volte grigi, a volte colorati, che disegnano la geometria del quartiere. Guardando a Nord, verso la periferia più estrema della città, quando si abbassa lo sguardo si nota la scritta “Marzahn-Hellersdorf 232.000 bewohner (abitanti)”.
Non c’è persona, tedesco o straniero, che a Berlino ignori il nome di questo quartiere. Marzahn assurge ormai ad una forma di stereotipo tristemente negativo. Rientra in quella descrizione dei luoghi in/out, come a dire, “queste sono cose da Marzahn”, a ricordare come gli spazi possano diventare territorio di esclusione sociale.
“Qui tutto è più lento, silenzioso, tranquillo” mi dice Thomas, 47 anni, un passato nel NPD, il neopartito nazista, autotrasportatore e attualmente sostenitore dei verdi (Die Grüne). “Qui non vedi il muro, non vedi il socialismo, non vedi nemmeno il capitalismo, qui c’è Marzahn, quella parte di città che è Berlino, ma è fuori Berlino”.
Marzahn non è diventato solo il metro paragone della negatività, ma raccoglie anche diversi primati, tra cui quello sulla disoccupazione e gli aiuti sociali e quello sugli individui che votano e hanno votato Afd. Thomas ci tiene a precisare che questo non è una roccaforte di Afd, ma piuttosto un luogo dove “le persone votano anche Afd” e non dimentica mai di ribadire che “anche Cdu, Spd e Linke”. È lì che sottolinea che nonostante il gran parlare che si fa su questa zona della città, del resto è un posto come un altro. Proprio come il seggio 107.
Il 107 è un posto come un altro, all’interno di una scuola dai soffitti bassi di fabbricazione Rdt (Repubblica Democratica Tedesca). Nella stanza vicina un cartello indica il “Wahllokal 108”, l’altra sezione della zona di Marzahn Nord. In questi due seggi nel 2016 alle elezioni del Land di Berlino, Afd, Alternative Für Deutschland, ha preso rispettivamente il 29,2% e il 28,5%. Secondo partito Die Linke con uno scarto percentuale davvero irrisorio. Ben distanti invece i due maggiori partiti, Cdu e Spd. Domenica 24 settembre nel collegio di Marzahn-Hellersdorf Afd è arrivata al 21%.
Si parla molto di voto di protesta dopo le elezioni per rinnovare la camera bassa tedesca, il Bundestag, e Marzahn Nord sembra essere lo specchio o addirittura un precursore di questo fenomeno. Proprio la zona che fino al 1989 apparteneva all’ex Rdt si scopre che ha un’anima di destra, profondamente nazionalista e improntata alla difesa dei confini.
Camminando per le vie del quartiere si è ben distanti dallo stereotipo delle periferie italiane, dove l’emarginazione sociale è palpabile, semplicemente guardando le strade o il segno del tempo sui palazzi e sulle opere pubbliche. A Marzahn Nord è diverso, tutto è ordinato e pulito, c’è un parco tra due palazzi. All’interno di questo c’è una piccola casa di legno (Blockhütte), dove i genitori autogestiscono un bar con annesso un piccolo parco giochi, un punto d’incontro in mezzo al cemento e agli alberi del quartiere.
“Sono 5 anni che ci battiamo per mantenere in vita questa piccolo spazio autogestito” mi dice Thomas. “Questa è l’unica struttura in tutta Europa a funzionare così. E pensare che volevano chiuderla. Ci stiamo ancora battendo contro l’amministrazione dei palazzi”. Qui nessuno ha voglia di parlare, non si parla di politica e mi guardano anche un po’ strano. Una sorta di alieno venuto dal centro città, uno dei tanti che Berlino è venuto a sfruttarla, a vivere il suo lato famoso, quello fatto di locali notturni, mostre di arte contemporanea e persone vestite rigorosamente di nero.
È un piccolo ritratto di un mondo che sembra non esistere più, di una parte della Germania che dopo il 1989 improvvisamente si è riscoperta perdente, coloro che hanno scoperto di essere gli “altri”. Assorbiti da un sistema economico e sociale che non era il loro, speranzosi di un lavoro meglio retribuito e di una società più libera. “No, questo è solo uno spettacolo per i turisti. Checkpoint Charlie, la Porta di Brandeburgo, è più o meno attraente solo per i turisti, perché qui nessuno vuole avere a fare col passato, col socialismo.” – mi dice Thomas – “ Non sarà mai socialista qui. Non può funzionare perché è una politica che non può realmente esistere perché tutto esiste tramite il capitalismo. Senza di lui non va.”
Occhi celesti e capelli bianchi, Thomas è originario del Meclemburgo-Pomerania anteriore, una zona dove Afd ha un grande bacino di consenso. Cresciuto sotto il regime della Rdt, lavora tra la Polonia e la Germania come autotrasportatore per grandi aziende come Amazon. Parliamo di lavoro e di come la contrattazione avvenga sempre al ribasso. Soprattutto di come le grandi aziende tedesche abbiano sfruttato gli autotrasportatori polacchi stipulando dei contratti basati sulle tariffe polacche pur prestando effettivamente servizio in Germania. Il fenomeno, analizzato anche dal quotidiano Die Zeit, ha creato una lotta tra poveri inserendosi in quelle politiche di dumping salariale che creano tensione sociale in particolare con gli stranieri.
Marzahn Nord è un distretto dove secondo studi del municipio circa il 37% degli abitanti tra i 0 e i 65 anni vive di Hartz IV, un sussidio contro la povertà, per chi non ha né un lavoro né un conto in banca. Senza contare poi tutti quegli individui che risultano occupati ma hanno solo un mini-job: un lavoro limitato nel tempo con retribuzione massima di 450 euro. Un grande affare per le aziende che possono facilmente regolare la forza lavoro e pagare meno tasse, una grande sfida per i disoccupati, un grande sfida per il futuro della Germania. Chi pagherà la pensione a queste persone?
Secondo il governo l’immigrazione è la risposta a questa domanda. Non solo l’immigrazione europea, ma anche quel milione e cinquecentomila richiedenti asilo che sono arrivati in Germania dal 2015, quando Angela Merkel, la cancelliera, aprì le porte della nazione in uno gesto umanitario senza pari che le provocò diverse critiche sia all’interno che all’esterno del proprio partito. Proprio al luglio 2015 si può far risalire, con uno slancio d’immaginazione, la svolta di Afd, che ha trovato nei rifugiati il cavallo di battaglia.
Proprio qui, in un quartiere con un tasso di occupazione dell’11,6%, dove molti vivono grazie a sussidi statali sembra difficile l’integrazione. Camminando per strada dei turchi-tedeschi che affollano la città di Berlino non si vede traccia e Thomas mi dice che qui risiedono solo russi, polacchi ed est-europei, ad eccezione del centro di accoglienza costruito a pochi passi dal parco dove ci eravamo incontrati. Due palazzi grigi, ruvidi e spigolosi, che condividono un campo con delle porte da calcio e dei canestri da basket. Il tutto è circondato da una rete, quasi una prigione, sia da fuori sia da dentro.
“Noi qui non possiamo entrare, mentre loro possono uscire e entrare. C’è una reception, i loro bambini giocano in un campo nuovo di zecca, mentre noi ci battiamo per averne uno nuovo.” dice Thomas senza nessun segno di invidia o di disapprovazione. Il suo monito non è per i richiedenti asilo, ma per il governo, perché così si riduce al minimo l’integrazione. “C’è un servizio di sicurezza, perché hanno semplicemente paura che, se andiamo lì, vogliamo fargli del male, attaccarli. Ecco perché è così protetto”.
“Qui le persone che non hanno lavoro vedono che in pochi mesi è stato costruito un centro di accoglienza e si chiedono se qualcosa potesse essere fatto per loro”. La risposta a queste domande è stata canalizzata da Afd, che ha offerto risposte semplici a problemi complessi.
Thomas ci tiene a chiarire subito la sua identità. “Ero un membro attivo della Npd. 3 anni Nel comitato del circolo in Marzahn-Hellersdorf. Poi nella centrale del partito in Köpenick notai come la gente veramente era. Quello che dicono all’esterno è diverso da ciò si dice all’interno. Quando le porte si chiudono si capiscono i veri piani.” Il suo percorso politico lo ha portato ad essere un ambientalista convinto, “i verdi fanno almeno qualcosa per l’ambiente. Vogliono veramente che cambi qualcosa”.
E in questo si racchiude molto della sua idea del quartiere. Un posto dove c’è il senso di comunità e dove le persone si conoscono, nonostante la vasta estensione e i palazzi grigi da 18 piani che aumentano a dismisura la possibilità di incontro e di confronto. Infatti, quello di Afd sembra essere nono solo un voto di nostalgici di una Germania che non c’è più, ma anche un voto di protesta, “perché la gente ha paura: di quello che sarà, dell’immigrazione, di perdere il lavoro” specialmente in un periodo in cui la Germania è più florida che mai.
Quello che Thomas sostiene è che Afd non sia altro che un partito che ha canalizzato il malcontento verso il governo centrale e che ha dato voce a coloro che prima non avevano voce. Una sorta di ribellione verso l’autorità costituita, verso le élite e coloro che stanno nei palazzi di potere. Ma è anche un partito che ha ripreso idee Npd, ripulendole dei tratti più estremismi e vendendole a buon mercato attraverso una campagna martellante orchestrata sui social media.
“L’Afd è stato fondato come un partito minore di Npd. Dal principio, Afd non è altro che Npd. Si chiamano in modo differente e sono un po’ più moderati. Non sono così diretti come Npd. Ma puoi confrontarli tra loro. Uno vale l’altro.” Entrambi usano una retorica anti-immigrati che mira a creare la figura del vero tedesco, nostalgico di un passato che non c’è più.
“La paura dello straniero viene aumentata dai media. Quando ci sono molti rifugiati ci sono voci di stupri di donne e bambini. Cosa assolutamente falsa. Si, Ci sono pecore nere tra di loro, ma ci sono anche in Germania. Le pecore nere le trovi sempre”. Thomas è piuttosto conosciuto in questo quartiere e quando parla sembra rappresentare la sua piccola comunità: è lui che entra nel seggio per chiedere se si possono fare domande ed è sempre lui che mi indica quelli che sono gli edifici più importanti.
Non ha un’opinione certa su ciò che porterà un’affermazione di Afd, ma sembra che abbia una certa sfiducia nel governo centrale. “Penso che la maggior parte di noi abbia già rinunciato a pensare a ciò che il governo federale vuole fare. Questo è il problema, la gente si è arresa”. Come se in questa isola di città il governo centrale abbia lasciato i cittadini, come naufraghi, ad autogestire i punti di aggregazione e la risposta che alcune volte si veicola verso il populismo di destra, possa in seguito diventare astensionismo.
Tra le prime foglie autunnali che cadono c’è qualcuno che torna dal seggio attraversando le ampie strade che separano i palazzi, sguardi curiosi ma nessuna risposta alle domande. Infastiditi dal clamore mediatico che suscita il quartiere, gli abitanti non sono felici che questo sia rappresentato come un quartiere di destra. Due ragazzi ci osservano, provo ad avvicinarmi. No, non si parla di politica.