Bruxelles – La Catalogna non si ferma di fronte alle sentenze del Tribunale costituzionale spagnolo alle operazioni di polizia e alle minacce del governo spagnolo. Vuole l’indipendenza, e comunque il diritto ad esprimersi a suo favore nel referendum del primo ottobre, che pure è stato sospeso dalla Corte costituzionale spagnola. La spinta secessionista è forte, ora più che mai. Lo dimostrano le bandiere e i cartelloni che sventolano fuori dalle finestre nelle strade di Barcellona, le proteste, gli scioperi e ancora il lancio di un sito web per i seggi elettorali. Il portale, annunciato dal presidente della regione Carles Puidigemont su Twitter in mattinata, risulta al momento oscurato. Stessa sorte è toccata a molte altre pagine Internet a favore del referendum. “è un disastro”, ha dichiarato Eduard Martin Lineros, direttore dell’organizzazione Cat.Foundation, responsabile della gestione dei domini catalani. “Siamo stati constretti – per la prima volta da quando esiste Internet in Spagna – a bloccare quattro domini sul referendum”.
Il materiale informativo/propagandistico non è scomparso solo in rete. Nei giorni scorsi, la Guardia Civil ha sequestrato dieci milioni di schede elettorali, un milione e mezzo di volantini e 45mila lettere di convocazione.
Dalla circolazione non è scomparso solo il materiale propagandistico, ma l’organizzazione va avanti. Anche se negli uffici del governo catalano mancano sette alti funzionari tra cui Josep Maria Jove, braccio destro del vicepresidente catalano Oriol Junqueras, responsabile dell’organizzazione referendaria e il responsabile dell’Agenzia Tributaria Catalana, Lluis Salvadò, vicesegretario del partito della sinistra repubblicana Erc. I sette sono stati arrestati mercoledì, insieme ad altri sette poi rilasciati, e al momento sono detenuti per “disobbedienza, prevaricazione e malversazioni di fondi”. Il tribunale costituzionale della Spagna ha inflitto loro multe fino a 12mila euro al giorno ma questa potrebbe non essere l’unica pena. Si parla anche di detenzione, dai 10 ai 15 anni. Secondo le autorità catalane, la situazione dei funzionari detenuti è la dimostrazione che “Il governo spagnolo ha oltrepassato la linea rossa mettendo in discussione diritti e valori democratici”. A rivendicarli, oggi, di fronte al Palazzo di giustizia, c’è anche la presidente del parlamento catalano Carme Forcadell che si è aggiunta a un corteo di centinaia di persone.
Le manifestazioni per la scarcerazione dei sette sono iniziate ieri quando, di fronte all’edificio, si sono radunate 30mila persone. La protesta è andata avanti fino a tarda notte e si è fermata solo dopo l’intervento degli agenti della Mossos d’Esquadra, ma oggi ancora migliaia di persone sono per strada.
Dura la risposta di Raul Romeva, “ministro” catalano degli Esteri. “Stiamo assistendo a una violazione flagrante delle leggi e dei diritti fondamentali, di riunione, di libertà di espressione, di parola, raccolti nella costituzione. In gioco non c’ è l’indipendenza della Catalogna, ma la democrazia in Spagna e in Europa”, ha dichiarato Romeva. “Di cosa ci accusano? Reato di tentata democrazia? Possono anche arrestarci tutti, noi voteremo per l’indipendenza”, ha ribadito.
Madrid ha risposto con l’invio di altri agenti di polizia nelle strade di Barcellona. Secondo il ministro degli interni spagnolo Juan Ignacio Zoido, serviranno a mantenere l’ordine. Molti, temono, invece che aumenteranno il disordine. In Catalogna vige lo stato di emergenza. La regione gode ancora formalmente della sua autonomia (che potrebbe essere sospesa con l’articolo 155 della Costituzione) ma il ministro delle Finanze spagnolo Cristobal Montoro ha preso il controllo del budget regionale e ordinato il blocco dei conti correnti. Tutti coloro che si impegnano a favore del referendum rischiano multe fino ai 12mila euro mentre i poliziotti, per il momento, dovranno rinunciare a ferie e permessi. “Scene simili non si vedevano dalla seconda guerra mondiale”, hanno dichiarato alcuni testimoni.
Gli esperti escludono lo scoppio di una nuova guerra civile ma nessuna delle due fazioni vuole allentare la presa. Per il presidente dell’Assemblea catalana Jordi Sanchez, appoggiato dei sindaci della regione, dal partito euroscettico Podemos e dal mondo dello sport, bisogna portare avanti una “mobilitazione senza precedenti”. Per il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy e il suo partito popolare, invece, il referendum va fermato in ogni modo. Ne sono convinti anche i socialisti di Pedro Sanchez, il leader di Ciudadanos Albert Rivera e la Francia di Emmanuel Macron.
L’Unione europea tace. I verdi Jordi Sale, Joseph Maria Terricabras e il liberale Ramon Tremosa hanno scritto una lettera alla Commissione affinché difendesse i diritti dei catalani ma la richiesta è caduta nel vuoto. Non hanno avuto più successo i cronisti che, in conferenza stampa, hanno incalzato il portavoce Maragaritis Schinas. “L’Unione rispetta la costituzione spagnola così come quella di tutti gli altri stati membri”, ha risposto Schinas. Secondo fonti interne di Euobserver, l’Europa non solo non vuole entrare nella questione catalana. Non ne sta nemmeno parlando. L’argomento è praticamente un taboo. “E’ una questione che si deve risolvere in Spagna”, ha spiegato oggi una fonte al vertice della Commissione europea.
Se si escludono le Nazioni Unite, resta solo un’altra persona capace di risolvere la situazione: Mariano Rajoy. Il primo ministro spagnolo è, in un certo senso, il primo responsabile di questo caos: è stato lui a ordinare l’arresto dei funzionari, il sequestro del materiale propagandistico e ora, l’invio di altri agenti di polizia nelle strade di Barcellona. Nulla di quello che ha fatto finora rientra nell’illegalità. Se c’è qualcosa che va contro la legge, quello è infatti il referendum, una manifestazione contraria all’unità della Spagna garantita dalla Costituzione.
La linea dura non è, però, l’unica scelta nelle mani di Rajoy. Gli analisti spiegano che il primo ministro spagnolo potrebbe, per esempio, portare avanti dei negoziati per concedere alla Catalogna ancora più autonomia e una revisione del piano fiscale. La regione non diventerebbe indipendente ma i suoi abitanti avrebbero molte ragioni in meno per votare sì alla secessione. Un’altra alternativa potrebbe essere quella di organizzare una consultazione in tutta la Spagna in modo da concedere a tutti i cittadini, e non solo ai catalani, di esprimersi su un tema che è comunque di interesse nazionale. Oppure, spiegano ancora gli esperti, si potrebbe modificare la legge in modo da permettere il referendum ma annullarne il risultato se l”affluenza è sotto il 75% e non si raggiunge il quorum.