Oggi, in un bar di una zona popolare di Roma, un avventore si lamentava per la regola per cui i calciatori comunitari non rientrano nel calcolo degli “stranieri” in campo (“poi, vabbé ci sono anche delle ‘nazionalizzazioni’ che fanno ridere, basta una bisnonna e l’argentino è subito italiano”). Si lamentava perché questa regola, a suo parere, indebolisce i vivai italiani e di conseguenza la possibilità di una nazionale di calcio più forte.
Sempre oggi è iniziato un torneo di un altro sport molto popolare nel continente, la Laver Cup. Anche se lontano dal calcio in termini di appassionati e telespettatori, il tennis ha dalla sua un seguito di giocatori e praticanti forse molto più bilanciato tra i generi.
Intitolata al grande campione australiano Rod Laver (il primo grande dell’era “open”), nel torneo si affrontano due squadre, non l’Australia, non l’Oceania e neanche l’Australasia, ma L’Europa, contro il resto del Mondo (anche se i giocatori sono quasi tutti anglosassoni).
Fa un certo effetto vedere, ad esempio, Roger Federer in tuta azzurra con la scritta “Europe”.
Una cosa simile avviene da anni nel golf e probabilmente in tanti altri sport di minor esposizione mediatica.
Lo dico dalle colonne del nostro giornale, nato per raccontare l’Europa e che in questi primi 5 anni ha narrato molto della sua crisi economica prima e poi quella politica caratterizzata dai nuovi nazionalismi (o sovranismi) e che solo raramente ha parlato del fenomeno sportivo europeo più rilevante, ovvero la Champions League.
Molti stati nazionali sono nati a seguito di guerre, di annessione o di liberazione, e su questo sangue, conseguenza di altri interessi e opportunità economiche, hanno consolidato una loro identità.
Per fortuna i tempi sono cambiati, nessuno pensa di creare l’identità europea con la guerra (anche se qualcuno pensa di difendere delle “identità” combattendo anche con violenza i migranti) molti si impegnano invece da decenni, mettendo insieme le economie e i diritti, anche se il progetto di maggior successo identitario pare essere ancora quello che si cura della formazione dei giovani, cioè l’Erasmus.
Sarà la mia passione per l’Europa e per lo sport, ma sono convinto che quest’ultimo possa essere il maggior acceleratore di tutte le fatiche spese nel processo di un’Unione sempre più stretta.
Giacomo Robustelli, evidentemente, non è Lorenzo Robustelli, il direttore di questo giornale. E’ il fratello di Lorenzo e con lui fondatore di questa iniziativa editoriale. Da sempre è il manager di Eunews. E’ stato un nazionale italiano di sciabola e sin da bambino un appassionato tennista.