Bruxelles – L’Unione europea non può limitarsi a porre come obiettivi per il 2030 il 27% di produzione di energia da fonti rinnovabili, un aumento dell’efficienza energetica al 30% e una riduzione delle emissioni climalteranti del 40% rispetto al 1990, come ha proposto finora la Commissione. Deve portare rispettivamente queste percentuali al 40, 40 e 55. Questo, almeno, se è sua intenzione rispettare gli obiettivi vincolanti di Parigi che puntano a “mantenere l’aumento della temperatura media ben al di sotto dei 2°C e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 °C”. Lo afferma l’istituto di ricerca ambientalistico tedesco “Oeko Institut” nello studio “Vision scenario” presentato il 20 Settembre nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles su iniziativa dell’eurodeputato verde lussemburghese Claude Turmes.
“Quando abbiamo proposto questi obiettivi, ci hanno accusato di essere pazzi”, ha detto il Turmes ricordando le critiche fatte ai Verdi per gli obiettivi 40-40-55 da loro sostenuti. “Ora sappiamo di essere sempre stati nel giusto e di aver proposto modifiche conformi ai risultati di un rigoroso studio scientifico che abbiamo sì commissionato ma è indipendente”.
Il nuovo Vision dell’Oeko Institut scenario presenta un’analisi aggiornata degli scenari per il settore energetico e le emissioni di gas serra che ridimensiona il ruolo atteso dalle tecnologie, insufficiente a contrastare il riscaldamento globale senza politiche climatiche ambiziose, soprattutto da parte dell’Ue.
Il rapporto si basa su un approccio metodologico inedito: il “budget” delle emissioni (carbon budget), ovvero un calcolo di quanta CO2 può essere ancora rilasciata nell’atmosfera senza aumentare di più di 2° C la temperatura, e di quanta ne spetta all’Europa. In pratica, l’Unione ha a disposizione non più di 65 miliardi di tonnellate (giga tons) di emissioni, il 7% di quelle globali.
“Oggi, l’UE rilascia 4 miliardi di tonnellate all’anno; se si continua con questo ritmo, tra 16-17 anni saremo arrivati a 65 miliardi e avremo esaurito tutto il nostro ‘carbon budget’ e a questo punto si dovrà ridurre in modo molto più aggressivo le emissioni perché non ci sarà più margine”, ha sottolineato Turmes.
Felix Matthes dell’Oeko Institut ha spiegato che “nel calcolo del ‘carbon budget’ la distribuzione delle emissioni che possono ancora essere rilasciate in atmosfera non riflette né il passato di uno Stato (ndr, ovvero quante emissioni sono state già rilasciate storicamente) né il suo potere economico. Il criterio adottato è infatti pro-capite, il che significa che abbiamo assegnato ad ogni persona, di qualunque Paese, la stessa quantità di emissioni”. Secondo Matthes, il carbon budget è l’unico modo per rendere operativi gli accordi di Parigi.
Il Vision scenario implica l’abbandono del nucleare entro quarant’ anni e “una profonda decarbonizzazione” in tutti i settori. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, si consentirebbe un utilizzo limitato della tecnologia Ccs (cattura e sequestro del carbonio per evitare il rilascio delle emissioni di CO2) solo nei settori del cemento e dell’acciaio. I cambiamenti devono essere invece drastici nel settore dei trasporti, dell’edilizia e dell’energia che è “il maggior responsabile del rilascio di emissioni in Europa”.
Sempre secondo questo scenario, “il carbone dovrà comunque essere abbandonato entro il 2035 così da permettere al sistema energetico di reggersi sempre di più sulle rinnovabili. Nel 2050, le biomasse, l’energia solare e quella eolica – soprattutto offshore-, arriveranno a soddisfare tutto il fabbisogno energetico”, ha detto Matthes secondo cui “bisognerà rinunciare progressivamente anche al petrolio prima del 2040, e al gas naturale tra il 2040 e il 2050”.
Il Vision scenario, insomma, permettere all’Europa una transizione energetica graduale. Questa sarebbe, invece, “drammatica” se si rispettassero gli obiettivi men ambiziosi della Commissione, ha insistito Matthes. “Bisogna comunque limitare le emissioni. Non farlo in maniera seria ora, significa dover adottare successivamente misure molto più drastiche, che avrebbero conseguenze dirette anche sulla vita reale dei cittadini”.
Secondo Turmes, queste considerazioni sono la prova fondata che il pacchetto europeo per il clima e l’energia 2030 non è compatibile con gli accordi di Parigi. “La Commissione e gli Stati membri devono smettere di temere le rinnovabili e iniziare a preoccuparsi delle conseguenze dei cambiamenti climatici come gli uragani Irma e Maria, soprattutto ora che il costo delle rinnovabili si è abbassato, anche grazie agli sforzi dell’Unione europea”.
Turmes è apparso molto ottimista riguardo a una possibile modifica del pacchetto per il clima e l’energia 2030 della Commissione che è stato già sottoscritto dagli Stati membri ma può ancora essere emendato dal Parlamento europeo. “Il commissario per il Clima e l’Energia, Miguel Arias Cañete ha capito che dobbiamo agire, che la tecnologia da sola non basta a contrastare il cambiamento climatico e bisogna adottare un nuovo approccio”, ha spiegato l’europarlamentare. A suo giudizio, ci sono buone probabilità che la Commissione sostenga gli obiettivi più ambiziosi che dovrebbe proporre il Parlamento.
Il lussemburghese ha poi aggiunto che anche l’economia circolare, il cambiamento nell’utilizzo dei suoli e nei comportamenti e consumi individuali (“lifestyle changes) possono contrastare il cambiamento climatico. “I verdi approfondiranno l’analisi e presenteranno delle proposte in questo senso”, ha concluso Turmes.