Le migrazioni sono diventate negli ultimi anni un tema centrale, non solo nei corridoi delle istituzioni nazionali ed europee, ma anche nella vita di ognuno di noi. Eppure il fenomeno è sempre esistito, l’uomo si è sempre spostato e continua a farlo, anche se a volte lo percepiamo poco. Ma il valore culturale, l’arricchimento che l’incontro tra popolazioni porta resta sempre vivo. Per questo Eunews ha deciso di seguire le tracce delle poesie raccolte nel volume “Migrazioni. Il viaggio in Poesia da Omero ai giorni nostri”, pubblicato dall’Agenzia romana per la preparazione del Giubileo in occasione di una serie di convegno di studio organizzati nel quadro dell’evento del 2000.
Ogni giorno la redazione sceglierà uno dei circa quaranta testi e lo renderà disponibile ai lettori che potranno trovarlo sia nel sito sia nella newsletter della mattina successiva. Alcuni componimenti saranno già noti, altri meno. Il curatore, il critico letterario Filippo Bettini, non si è limitato alle “grandi sfere linguistiche dell’Europa e dell’America”, ma ha lavorato ad includere “in un quadro inedito di accostamenti analogici e contrastivi, le civiltà letterarie degli altri continenti, dalla più antica Asia alla moderna Australia fino all’emergente Africa”.
Il presidente dell’Agenzia romana per la preparazione del Giubileo Luigi Zanda nella prefazione del libro si proponeva di “testimoniare l’importanza che le migrazioni hanno avuto nella cultura di tutti i tempi” e di “ricordare quanto profondo sia stato e sia tuttora il loro legame con la poesia di tutti i continenti”. Speriamo di poter fare lo stesso.
OMERO
Odissea, libro II, versi da 390 a 452
[…]
E Telemaco allor: Sedermi a mensa 390
Con voi, superbi, e una tranquilla gioja
Provarvi, a me non lice. Ah non vi basta
Ciò, che de’ miei più prezïosi beni
Nella prima età mia voi mi rapiste?
Ma or ch’io posso dell’altrui saggezza 395
Giovarmi, e sento con le membra in petto
Cresciutami anco l’alma, io disertarvi
Tenterò pure, o ch’io qui resti, o parta.
Ma parto, e non invan, spero, e su nave
Parto non mia, quando al figliuol d’Ulisse, 400
Nè ciò sembravi sconcio, un legno manca.
Tal rispose crucciato, e destramente
Dalla man d’Antinóo la sua disvelse.
Già il convito apprestavano, ed acerbi
Motti scoccavan dalle labbra i Proci. 405
Certo, dicea di que’ protervi alcuno,
Telemaco un gran danno a noi disegna.
Da Pilo ajuti validi, o da Sparta
Menerà seco, però ch’ei non vive,
Che di sì fatta speme: o al suol fecondo 410
D’Efira condurrassi, e ritrarranne
Fiero velen, che getterà nell’urne
Con man furtiva; e noi berem la morte.
E un altro ancor de’ pretendenti audaci:
Chi sa, ch’egli non men, sul mar vagando, 415
Dagli amici lontano un dì non muoja,
Come il suo genitor? Carco più grave
Su le spalle ne avremmo: il suo retaggio
Partirci tutto, ma la casta madre,
E quel di noi, ch’ella scegliesse a sposo, 420
Nel palagio lasciar sola con solo.
Telemaco frattanto in quella scese
Di largo giro, e di sublime volta
Paterna sala, ove rai biondi, e rossi
L’oro mandava, e l’ammassato rame; 425
Ove nitide vesti, e di fragrante
Olio gran copia chiudean l’arche in grembo;
E presso al muro ivano intorno molte
Di vino antico, saporoso, degno
Di presentarsi a un Dio, gravide botti, 430
Che del ramingo travagliato Ulisse
Il ritorno aspettavano. Munite
D’opportuni serrami eranvi, e doppie
Con lungo studio accomodate imposte;
Ed Euricléa, la vigilante figlia 435
D’Opi di Pisenorre, il dì e la notte
Questi tesori custodia col senno.
Chiamolla nella sala, e a lei tai voci
Telemaco drizzò: Nutrice, vino,
Su via, m’attigni delicato, e solo 440
Minor di quel, che a un infelice serbi,
Se mai, scampato dal destin di morte,
Comparisse tra noi. Dodici n’empi
Anfore, e tutte le suggella. Venti
Di macinato gran giuste misure 445
Versami ancor ne’ fedeli otri, e il tutto
Colloca in un: ma sappilo tu sola.
Come la notte alle superne stanze
La madre inviti, e al solitario letto,
Per tai cose io verrò: chè l’arenosa 450
Pilo visitar voglio, e la ferace
Sparta, e ad entrambe domandar del padre.
[…]