Bruxelles – Ungheria e Slovacchia dovranno accettare il piano Ue sui ricollocamenti di migranti. La Corte di giustizia dell’Unione europea, confermando il parere dell’Avvocato generale, ha respinto il ricorso dei due Paesi che chiedevano di annullare il meccanismo che prevede il trasferimento di 120 mila rifugiati da Italia e Grecia per aiutare questi Stati a fare fronte ai flussi migratori in crescita negli ultimi anni, soprattutto dopo l’esplosione della guerra civile in Siria.
Il meccanismo dei ricollocamenti fu messo in piedi basandosi sull’articolo 78, paragrafo 3, dei Trattati sul funzionamento dell’Ue secondo cui “qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati”, anche se “previa consultazione del Parlamento europeo”.
La Slovacchia e l’Ungheria, che con la Repubblica ceca e la Romania, avevano votato in Consiglio contro l’adozione di tale decisione, chiedevano alla Corte di giustizia di annullarla affermando che l’approvazione fosse viziata da errori di ordine procedurale e che il piano non fosse idoneo a rispondere alla crisi migratoria.
I giudici nella loro sentenza hanno invece affermato innanzitutto che l’articolo 78 “consente alle istituzioni dell’Unione di adottare tutte le misure temporanee necessarie a rispondere in modo effettivo e rapido ad una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di migranti”. Inoltre, “poiché la decisione impugnata costituisce un atto non legislativo, la sua adozione non era assoggettata ai requisiti riguardanti la partecipazione dei Parlamenti nazionali e il carattere pubblico delle deliberazioni e dei voti in seno al Consiglio”, che par altro, riconosce la sentanza, non era obbligato ad approvarla all’unanimità.
Per la Corte, il meccanismo di ricollocamento “non costituisce una misura manifestamente inadatta a contribuire al raggiungimento del suo obiettivo, ossia aiutare la Grecia e l’Italia ad affrontare le conseguenze della crisi migratoria del 2015”.
“La porta resta aperta e dobbiamo convincere tutti gli Stati a mostrare solidarietà ora”, ha dichiarato il commissario all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos che però ha avvertito quei Paesi come Ungheria, Polonia e Repubblica ceca, che si rifiutano di accettare i rifugiati che la Commissione è pronta a “considerare di compiere l’ultimo passo della procedura di infrazione”, aperta nel giugno scorso, e “deferirli alla Corte di giustizia”.
I giudici di Strasburgo, ha sottolineato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, hanno “affermato che esiste un dovere e un vincolo di solidarietà. Non è un principio italiano o greco ma europeo”, ha ribadito. Soddisfazione per la sentenza anche da parte del governo italiano, espressa dal sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, secondo il quale “la solidarietà è una cosa seria” e “la Corte ci ricorda che è arrivato il tempo di rispettare le vite umane, rispettare i diritti fondamentali e lo stato di diritto, rispettare le leggi”. Per questo “l’Italia continuerà a chiedere che i Paesi che si chiamano fuori dalla gestione dei migranti non possano accedere ai fondi europei”, ha assicurato l’esponente dell’esecutivo. “Non si può essere europeisti quando si va all’incasso e nazionalisti quando si dovrebbe offrire solidarietà”, ha ammonito Gozi, invitando a “proseguire su una politica dell’immigrazione fatta di solidarietà e risultati concreti”.
La co-presidente dei Verdi Europei Monica Frassoni ritiene che “da Lussemburgo oggi è stata data una risposta chiara a quei governi, e in particolare quelli appartenenti al gruppo di Visegrad, che pretendono di ricevere fondi e sostegno dall’Unione europea senza allo stesso tempo sottostare alle regole dello stato di diritto e agli obblighi di solidarietà, fomentando miopi politiche nazionaliste e neanche troppo sottilmente xenofobe”. Secondo Frassoni “la decisione della Corte deve servire anche come spinta per altri paesi quali Francia e Spagna a fare di più, poiché tutti, o quasi, si sono nascosti dietro la chiusura dei paesi dell’Est per sfuggire in toto o in parte ai propri impegni”.
Per la co-presidente dei Verdi europei “ora è necessario che seguano dei meccanismi che si occupino seriamente di fare rispettare la legge comunitaria, anche comminando sanzioni pecuniarie nel caso i governi nazionali le ignorino. Soprattutto, ci deve essere una decisa accelerazione sull’annunciata riforma della Convenzione di Dublino”.
La capodelegazione degli eurodeputati Pd, Patrizia Toia ricorda che “sono passati quasi due anni dal quel burrascoso vertice Ue di giugno 2015 in cui l’allora premier Matteo Renzi ha battuto i pugni sul tavolo e ha ricordato ai Paesi dell’Est che la solidarietà è una strada a doppio senso”. Circa la sentenza di oggi l’europarlamentare sostiene che “è il risultato del duro lavoro politico fatto dai governi Renzi e Gentiloni e da noi eurodeputati Pd per europeizzare la questione immigrazione. Ora il prossimo passo è il completamento della riforma del regolamento di Dublino, con l’istituzione di un meccanismo di redistribuzione obbligatorio e permanente”.
“Tutti i Paesi europei devono accettare il sistema dei ricollocamenti dei richiedenti asilo. Non si fanno eccezioni”, chiede Laura Ferrara, eurodeputata M5s e vice presidente della commissione giuridica del Parlamento Europeo. “Per essere chiari: tutti gli Stati Ue devono accogliere, l’immigrazione è un tema europeo e nessun Paese può considerarsi escluso”, continua Ferrara che chiede poi di “andare avanti con la nostra proposta, presentata in sede di riforma del regolamento di Dublino, di sospendere l’erogazione dei fondi strutturali a quei Paesi che non cooperano nella ricollocazione dei richiedenti asilo”.
“Adesso si proroghi il piano dei ricollocamenti oltre il 26 settembre 2017” chiede Salvo Pogliese, parlamentare europeo di Forza Italia. “L’Unione Europea – continua Pogliese – si era impegnata a raggiungere il traguardo di 160 mila ricollocamenti di migranti richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia, verso gli altri Stati membri, entro il settembre 2017, ma a oggi ciò non è avvenuto. I ricollocamenti effettuati al luglio 2017 sono di soli 7.873 migranti dall’Italia e di 16.803 dalla Grecia. Cifre ridicole che testimoniano il disinteresse degli altri Paesi europei. Ciò non è più tollerabile, l’Unione deve fare la propria parte come espressamente richiesto dalla risoluzione del Parlamento europeo del 18 maggio 2017 che esorta gli Stati membri ad adempiere ai loro obblighi, e a ricollocare i richiedenti asilo dalla Grecia e dall’Italia, fino a quando tutti i soggetti non saranno stati ricollocati in modo efficace”.
Parla di “sentenza-paravento” che “scarica sull’Ungheria e la Slovacchia le colpe dell’Unione Europea”, l’europarlamentare e vicesegretario federale della Lega Nord Lorenzo Fontana, secondo cui “la responsabilità dei progetti falliti è dell’Europa non dei governi di quei Paesi che – in maniera democratica e rispondendo ai propri impegni elettorali – scelgono di difendere i propri confini”.
Per il capogruppo del Ppe Manfred Weber “adesso c’è una reale possibilità di guarire la ferita aperta nell’Ue relativa alla politica di migrazione”, per questo “è cruciale che tutti i Paesi europei lavorino insieme”, in quanto “solo attraverso la cooperazione i flussi migratori potranno essere gestiti nel lungo periodo”, mentre “per arrivare a una soluzione duratura è necessario che ciascun Paese sia pronto a fare compromessi”.
A due anni dall’avvio del meccanismo di emergenza nel 2017 si è raggiunta una una media di 2 300 trasferimenti al mese. Fino ad ora sono sono state ricollocate oltre 27 695 persone (19 244 dalla Grecia e 8 451 dall’Italia) a cui si aggiungono quelle che devono ancora essere trasferite o identificate. A questi vanno aggiunti i circa 2 800 persone devono ancora essere ricollocate dalla Grecia e i molti altri dall’Italia. Secondo le stime comunicate da Bruxelles nel nostro Paese sono arrivate almeno altre 7.200 che avrebbero diritto a partecipare al programma anche se al momento ne sono stare registrate solo 4mila. Il piano scadrà il 26 settembre, giorno in cui si interromperanno le registrazioni dei rifugiati, ma i trasferimenti continueranno oltre questa data.