Bruxelles – Le barriere costruite a partire dal 2015 in Ungheria al confine con Serbia e Croazia “difendono tutta l’Unione dalle ondate di migranti” e per questo, il Paese pensa che l’Ue, ora, “debba pagare la sua parte”. Questa la motivazione che, come riportato da Euobserver, ha spinto Janos Lazar, capo dell’ufficio del primo ministro ungherese, a chiedere all’Ue di pagare un conto di ben 400 milioni di euro.
La cifra corrisponde alla metà esatta degli 800 milioni spesi da Budapest che, oltre a costruire nuove fortificazioni al confine, ha anche introdotto nuove regole per consentire alle autorità di arrestare e rimandare indietro chiunque venga trovato in un raggio di 8 chilometri dal confine e non sia in regola con i documenti. Soltanto lo scorso anno, riferisce sempre Euobserver, sono state 19mila le persone rimandate in Serbia o fermate al confine con l’Ungheria prima che potessero entrarvi.
Tuttavia, poche sembrano essere le speranze che la Repubblica magiara possa vedere accolta la propria richiesta. Si ricorda, infatti, che l’Ue, pur riconoscendo che la questione fosse di esclusiva competenza nazionale, aveva sin da subito manifestato opinioni contrarie alla costruzione di nuovi muri nel continente, e già nel 2012 aveva condannato l’innalzamento da parte della Grecia di una barriera di 12,5 km lungo il confine con la Turchia.
La replica della Commissione Ue non si è fatta attendere e da Bruxelles ha fatto sapere che “se l’Ungheria chiederà nuovi aiuti, allora valuteremo le richieste e forniremo le risorse necessarie, se lo si riterrà necessario.” In ogni caso, ciò che è stato ribadito più volte è che “l’Ue, sebbene supporti le attività messe in campo per la gestione delle frontiere, non contribuirà alla costruzione di barriere”. Alla richiesta di “solidarietà” avanzata dal governo di Viktor Orban, inoltre, l’esecutivo europeo risponde con un chiaro ammonimento nei confronti del Paese che, insieme a Repubblica Ceca e Polonia, si rifiuta di partecipare al meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo sbarcati in Italia e Grecia. “La solidarietà è una strada a doppia corsia – ha tenuto a precisare Bruxelles – e non un menù dove si ha la possibilità di scegliere un piatto, come quello della gestione delle frontiere e rifiutarne un altro, come quello del meccanismo di relocation istituito dal Consiglio”.