La soppressione del Columbus Day a Los Angeles e la sua sostituzione con una giornata di celebrazioni dei popoli indigeni d’America è un altro preoccupante segno del suicidio identitario dell’Occidente che ora crede di correggere la storia negandola. È disarmante cercare di spiegare l’insensatezza di un tanto sciagurato capolavoro del politicamente corretto che arriva a criminalizzare addirittura una scoperta geografica. Seguendone l’insensata coerenza, gli Stati Uniti dovrebbero anche abolire il 4 luglio perché si potrebbe sostenere che l’indipendenza americana portò alla deportazione e alla schiavitù di centinaia di migliaia di africani. Allo stesso modo allora, criminalizziamo Enrico Fermi e espelliamolo dai libri di scuola perché fu l’uomo che rese possibile la scissione dell’atomo e così spianò la via alla bomba atomica.
Questo ennesimo episodio di autorigetto del passato conferma sempre più fortemente la magnificazione delle minoranze di cui la cultura occidentale è diventata succube in un’inarrestabile spirale di colpevolizzazione di sé. Una volta la minoranza veniva tutelata con leggi apposite contro la discriminazione che garantivano la sua esistenza ma che non la esentavano dall’uniformarsi alle leggi della maggioranza. Oggi invece la minoranza viene esaltata non per una sua riscoperta superiorità ma per una sua presunta bontà intrinseca. Essere minoritari diventa un pregio, un valore in sé. È lo stesso processo che porta ad abolire i gabinetti per uomini e donne nello scrupolo di non discriminare chi non è né uomo né donna. Anche in questo caso allora bisognerebbe arrivare fino in fondo e abolire i troppo maschilisti urinatoi o concepirne un nuovo modello utilizzabile anche dalle donne, pardon, anche da chi non è né uomo, né donna, né altro. A questo proposito, un mio amico omosessuale lamenta la nuova presenza alle parate del gay pride di persone che si definiscono asessuali. Non ci vede molto orgoglio nel rivendicare di non avere alcun sesso e si chiede se gli angelici non dovrebbero farsi una parata per i fatti loro. In certe università inglesi durante il mese del Ramadan gli esami programmati per il pomeriggio vengono anticipati alla mattina per venire incontro agli studenti mussulmani che nel pomeriggio sarebbero indeboliti dal lungo digiuno, anche qui obbligando la maggioranza ad adattarsi ai bisogni culturali di una minoranza. Nei gabinetti pubblici e negli aeroporti, sempre inglesi, si trova sempre più spesso il locale per le abluzioni religiose islamiche ma non c’è verso di trovare un bidé. Segno che anche noi che ci laviamo quelle parti siamo una minoranza, molto più minoritaria di certe religioni e meriteremmo protezione. O se non altro un Bidé Pride con cui esprimere la nostra frustrazione.
La maggioranza che oggi in tanti criminalizzano considerandola strumento di oppressione ha invece la preziosa qualità di unire gli uomini in gruppi che condividono appunto una maggioranza di valori, visioni, costumi, percezione di sé e del mondo facendone delle comunità solidali guidate dal principio di un bene comune da conseguire e da conservare. Il culto della minoranza invece esalta l’individualismo, l’irriducibilità del singolo, la sacralizzazione dei suoi esclusivi bisogni e alimenta alla fine la sua inevitabile pretesa di imporre la propria volontà sugli altri.
Abolire il Columbus Day e attribuire a Cristoforo Colombo lo sterminio degli indiani è un’altra operazione di esaltazione di una minoranza con cui si crede di correggere la nefanda storia della sua persecuzione. Quel che fecero i coloni europei della scoperta di Colombo non è attribuibile al povero navigatore ed è quasi banale dirlo. Il riscatto dei perseguitati andrebbe condotto in modi completamente diversi. Ricordare anziché cancellare, non riesumare come salme ma ravvivare le culture di questi popoli e fare in modo che ritrovino un loro futuro. E soprattutto spiegare alle nuove generazioni i processi che furono causa di questi avvenimenti perché si diffonda l’unica arma contro il loro riprodursi: la consapevolezza.