Bruxelles – Arriva la richiesta formale di aiuto e la macchina, già in moto, si mette in marcia. Il Centro di coordinamento per la risposta alle emergenze (Eerc) è operativo sempre, ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, 365 giorni l’anno. Dispone di uffici un po’ in tutto il mondo: Africa, Asia, America centrale. E poi ha a disposizione la rete delle protezioni civili europee. Canali e strutture diverse perché le emergenze e la loro natura non sono tutte uguali. Ma indipendentemente da questo tutto passa per la sala operativa, la cabina di regia della Commissione europea situata a Bruxelles, a due passi dalla sede dell’esecutivo comunitario.
La sala operativa è concepita per gestire tre diverse crisi in tre diversi Paesi contemporaneamente, perché il direttorato generale per le operazioni di aiuti umanitari e di protezione civile europea (Dg Echo) risponde alla nuova politica Ue di risposta alle crisi, estesa anche ad operazioni di Protezione civile. Una novità importante, che ha accresciuto la risposta alle emergenze. Crisi umanitarie, calamità naturali, disastri climatici: L’Eerc risponde a questo e altro. E’ a disposizione dei governi, e solo questi possono attivare i meccanismi di aiuti, chiedendolo espressamente.
Quando uno Stato Ue ed extra-Ue chiede sostegno, gli addetti si attivano immediatamente per individuare uomini o mezzi richiesti. Non è un compito facile, perché non tutti soffrono dei medesimi mali, purtroppo e per fortuna. Chi non ha il problema sismico non dispone degli strumenti da prestare, perché semplicemente non è abituato a simili fenomeni a casa propria e quindi non è attrezzato per fronteggiarli. Ci sono i Paesi più colpiti da terremoti, quelli esposti principalmente a inondazioni, quelli ancora maggiormente colpiti dagli incendi. E ci sono quelli che invece soffrono di tutte queste cose. Il centro Eerc si attiva, e sulla base degli aiuti chiesti individua chi è in grado di rispondere all’appello. Comunica cosa serve, e avverte l’assistito. Un esempio concreto di tutto questo, uno degli ultimi a livello temporale, l’SOS mandato dall’Italia per l’emergenza incendi. Una richiesta di soccorso arrivata intorno alle 22 del 6 agosto. Mezz’ora dopo l’unità di crisi dell’Ue poteva già comunicare a Roma che due canadair francesi e un velivolo da ricognizione erano messi a disposizione per essere sul luogo (in questo caso il Lazio) per le 12 del giorno dopo, 7 agosto.
Quattro schermi giganti dove proiettare mappe e fotografie digitali, analizzare le aree di propagazione delle varie crisi, seguirne gli sviluppi. Al centro della stanza un tavolo per l’analisi dei rilevamenti satellitari ottenuti attraverso Copernicus, il sistema tutto europeo di monitoraggio della Terra. E’ questa la cabina di regia per la gestione delle crisi. Ancora, un sistema informatico comune per agevolare lo scambio di dati, videoconferenze a cadenza settimanale per fare il punto della situazione. E poi il personale impegnato a mantenere i contatti con le protezioni civili nazionali per avere aggiornamenti costanti e continui sulle operazioni compiute e comunicare al Paese che ha offerto aiuto quanto uomini e mezzi potranno fuori e avvisando le autorità del Paese assistito quando invece uomini e mezzi dovranno rientrare. Perché può capitare che lo Stato prestatore di soccorso possa aver bisogno al proprio interno di quanto mobilitato, e allora l’Eerc deve informare e attivarsi per trovare nuovi soccorsi.
La cabina di regia gioca dunque una costante partita contro il tempo e gli eventi. Tutto cambia a seconda del tipo di crisi, ma anche la crisi stessa cambia col passare del tempo e allora le azioni devono adattarsi al mutato contesto. Gli incendi attivi possono restarlo per giorni come per settimane, e la stessa mappa dei fuochi muta continuamente. A proposito di incendi, la sala operativa di Bruxelles presta soccorso ai 28 Stati membri più Albania, Islanda, Turchia, Norvegia, Montenegro, Serbia e Turchia. L’Ue copre l’85% dei costi di spostamento di mezzi e uomini. Per le crisi umanitarie le distanze rendono meno scontato l’invio di mezzi, e allora si preferisce puntare sui fondi comunitari. Il terremoto di Haiti del 2010 è però una testimonianza storica di come l’Ue, grazie al suo servizio di protezione civile, sappia individuare e mobilitare staff e personale. Allora arrivarono uomini delle protezioni civili degli Stati membri, tra cui l’Italia. E’ la dimostrazione della capacità di pronto intervento, di reazione rapida, e della capillarità della struttura europea.
Le sfide non mancano. Gli Stati membri mettono a disposizione quello che possono, e in caso di crisi multiple della stessa natura l’Ue non è in grado di garantire sostegno a tutti. L’idea di istituire flotte comuni europee potrebbe essere una di quelle. Ma sono scelte politiche, ma spetta ai leader decidere. C’è poi l’incognita della Brexit: si rischia una perdita di risorse. Come e quanto inciderà l’uscita dall’Ue del Regno Unito sul funzionamento dell’Eerc al momento non è dato saperlo. Un’altra strada da seguire sarebbe aumentare la prevenzione, ma è un compito che spetta agli Stati membri. Il Centro di coordinamento per la risposta alle emergenze ‘si limita’ ad essere operativo. La cabina di regia di Bruxelles non dorme mai.