Bruxelles – Sulle agenzie europee da trasferire a causa della Brexit l’Europa rischia di sfaldarsi. Per evitare tutto questo il Lussemburgo ha rinunciato alla “prelazione” sull’Autorità bancaria europea, partecipando come tutti gli altri alla regolare gara europea per l’assegnazione dell’Eba. Lo Stato fondatore dell’Ue ha deciso di mettere da parte personalismi ed egoismi in nome di quello spirito europeo oggi poco presente, agendo da “saggio” padre costituente. Quella delle agenzie “è un tema spinoso, che rischia davvero di dividere i Ventisette”, ammette Georges Friden, rappresentante permanente del Lussemburgo presso l’Ue. “E’ in nome dell’unità degli Stati membri che non riteniamo avviare un dibattito giuridico sugli ambiti di applicazione delle decisioni del 1965”, quelle che affermano il principio per cui ogni istituzione finanziaria comunitaria dovrebbe essere ospitata nel Granducato. “Abbiamo bisogno di una decisione, e ne abbiamo bisogno con consenso e in tempo utile. Non è certo una cosa facile”, ricorda l’ambasciatore lussemburghese. Avviare battaglie legali non sembra rispondere alle esigenze europee.
Certo, Lussemburgo è convinto di avere tutte le carte in regola per poter garantire all’Eba di essere operativa e funzionante, così come ritiene che “i principi del 1965 restano però validi e per noi siano quindi applicabili in linea di principio”. I lussemburghesi sanno che in punta di diritto avrebbero dei vantaggi, ma sanno anche che avviare un contenzioso in questo momento non è la via maestra. Ci vorrebbe molto tempo per pronunciarsi su un tema di così vasta portata, e non è chiaro se alla fine il granducato potrebbe vincere la battaglia legale. Gli accordi del 1965 si riferiscono ad agenzie di nuova creazione, ma non a istituzioni già esistenti come l’Eba. Per un certo periodo si è pensato di giocare questa carta, poi qualcosa è cambiato spiega Friden. “E’ stato trovato un accordo sulle procedure di trasferimento” delle due agenzie Ue attualmente a Londra. L’intesa “è basata su velocità di decisione e unità, e sulla base di questo abbiamo deciso di giocare secondo le regole che sono state stabilite”. In questo momento “il nostro contributo per l’unità dei 27 è proprio questo: vediamo nelle regole del 1965 principi ancora validi ma abbiamo deciso di accantonarlo per giocare secondo le attuali regole del gioco”.
Lussemburgo quindi non cercherà scorciatoie né ricorrerà alle vie legali. Porterà avanti la propria candidatura sottolineandone i motivi, che l’ambasciatore dello Stato fondatore enumera in ordine sparso. Lussemburgo è già una città europea (vengono ospita diverse istituzioni Ue come la Corte di giustizia, la Corte dei conti, Eurostat), è un ambiente finanziario (sempre a Lussemburgo si trovano la Banca europea per gli investimenti e il fondo salva-Stati Esm), e c’è per questo personale “formato, specializzato, competente, pronto per essere utilizzato”. E’ stata già individuata la sede: un edificio nuovo di zecca, in fase di costruzione e prossimo al completamento, che il governo di Lussemburgo darebbe all’Eba a titolo gratuito (in regime di “free renting rate”, come spiegato). C’è una posizione strategica: la città è a metà strada tra Bruxelles, Parigi e Francoforte, con cui è collegata da autostrade, treni e aerei. Lussemburgo quindi ci prova, senza forzature. Anche perché il granducato sembra avere una strategia ben precisa: attrarre comunque chiunque nella capitale britannica nutra timori per il futuro. “Se ci sono operatori attualmente a Londra che si ritenessero più sicuri a operare a Lussemburgo, siamo ben contenti e disponibili a ospitarli”, ammette Friden. C’è un ambiente finanziario, il mercato unico, e un regime fiscale tradizionalmente vantaggioso (forse anche troppo, come mostrato dallo scandalo Luxleaks).