Roma – Cosa diventerà Forza Europa, la “costituency” sostenuta dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, insieme con l’ex titolare della Farnesina Emma Bonino e altri europeisti convinti, “lo scopriremo nelle prossime settimane o mesi, a seconda della forza che riusciremo a dare” all’iniziativa. Lo spiega lo stesso esponente dell’esecutivo, che sabato a Roma ha organizzato l’iniziativa pubblica, “In movimento per un’Italia europea”, alla quale parteciperà, tra gli altri, anche il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda. L’obbiettivo è far crescere “una ‘costituency’ politica, culturale e anche elettorale”, con il contributo di chi crede “che il futuro migliore dell’Italia, esattamente come il passato migliore dell’Italia, sia dentro un’Unione europea forte”. L’europeismo “indiscusso” di Della Vedova si spinge fino alla difesa del Fiscal compact. Anche quando chiede di “cambiare radicalmente le politiche europee”, come sui migranti, la sua critica non si rivolge alle istituzioni comunitarie. “Sulle migrazioni non c’è il fallimento dell’Ue”, dice, “c’è la fotografia di ciò che succederebbe su tutto il resto con l’Europa delle patrie”.
Senatore, puntando su questi temi, pensate di trovare in Italia lo stesso spazio politico che Emmanuel Macron ha intercettato in Francia?
L’esperienza di Macron, durante la campagna elettorale, è stata importante perché ha mostrato come, in un Paese come la Francia, il richiamo europeista non fosse minoritario o destinato alla sconfitta. Poi, ogni Paese fa storia a sé e non c’è nessuna volontà di imitare, scimmiottare o copiare. Un europeismo manifesto, a volte ostentato, si è accompagnato alla proposta politica vincente in Francia. In Italia, a maggior ragione, noi crediamo che una posizione che parta da un europeismo manifesto, indiscusso, abbia un’audience che oggi non ha modo di esprimersi.
In effetti, si attacca l’Unione europea, seppur con modi e toni differenti, tanto a destra quanto a sinistra.
Da una parte, tutte le forze politiche della chiusura, il centrodestra e Grillo, usano l’Europa come capro espiatorio. Dall’altra, fino ad oggi – a differenza di quanto successe nel 2014 con la grande vittoria del Partito democratico alle europee, quando il racconto del Pd di Renzi era molto più europeista – non c’è una contrapposizione che parta dalla rivendicazione dell’appartenenza all’Ue. Quando Renzi dice ‘Europa sì, ma non così’, io preferisco dire ‘Europa sì, anche così’.
A lei piace anche il Fiscal compact. Rivendica di averlo votato, incluso il pareggio di bilancio in Costituzione. Non ritiene che l’Ue e l’Eurozona abbiano bisogno di una diversa direzione di politica economica?
Sono due cose che dobbiamo tenere distinte. I nostri avversari, il centrodestra e Grillo, ci obbligano a una discussione non sulle politiche ma tutta politica: loro hanno una piattaforma nazionalista e sovranista, e in Italia c’è uno spazio enorme, a mio avviso, per chi ritiene invece che la piattaforma debba essere europeista e multilateralista. Questo non significa che si debba smettere di discutere delle politiche, ad esempio quelle sulle migrazioni.
Su questo fronte concorda che un cambiamento serva?
Intanto, va detto che l’Europa, in quanto istituzioni dell’Unione europea, non ha responsabilità, perché non ha un ruolo dal punto di vista giuridico sulle politiche migratorie (la competenza esclusiva è degli Stati membri, ndr). Quindi, sulle migrazioni non c’è il fallimento dell’Ue, c’è la fotografia di ciò che succederebbe su tutto il resto con l’Europa delle patrie. Siccome non esiste un diritto europeo cogente sulle migrazioni, ognuno fa quello che vuole e cura i propri interessi contro gli altri. Questa è l’Europa delle patrie che vogliono i nostri nemici. Sulle politiche da cambiare, io ho cominciato, da radicale, chiedendo di cambiare radicalmente le politiche del mio Paese, continuerò a chiedere di cambiare radicalmente le politiche europee che non mi piacciono. Ma mettere in discussione le politiche europee non può significare mettere in discussione l’appartenenza all’Unione europea.
Anche la Lega, in modo più sfumato, e i Cinquestelle, che non discutono l’appartenenza all’Ue, si stanno gradualmente spostando su posizioni meno estreme.
Se c’è una ritirata è tattica e propagandista. La scorsa settimana, ad esempio, Di Battista e Di Maio, due leader dei 5 Stelle, hanno rilanciato il referendum sull’euro.
Anche David Cameron, nel Regno unito, promosse il referendum sulla Brexit, ma poi fece campagna per il Remain.
Sì, ora loro provano a dire che il referendum è un’arma per contrattare qualcosa. È vero il contrario: se uno pensa di usare il referendum sull’euro come arma di ricatto ha sbagliato indirizzo. Proprio la trattativa sulla Brexit lo dimostra.
Torniamo al Fiscal compact, non ho capito se lei condivide l’idea che vada cambiato prima di inserirlo nei Trattati.
Ovviamente, se uno dovesse farlo oggi non lo scriverebbe come è stato scritto negli anni della crisi che esplodeva. È giusto che ci sia una discussione tutta all’interno della cornice europea, ad esempio per distinguere gli investimenti dalla spesa corrente, cosa non semplicissima da fare. Certo che vanno discusse le politiche, non sono una cosa fissa e per sempre. Ma tornando al Fiscal compact, io lo difendo perché fino ad oggi non ha comportato sacrifici per l’Italia. Il pareggio di bilancio in Costituzione ha comportato che in Parlamento si voti due o tre volte all’anno, a maggioranza assoluta, per derogare. Il Fiscal compact è di fatto un meccanismo che non ha ancora cominciato a funzionare, ma ci ha consentito di stare in un’Area euro che ha beneficiato delle politiche della Banca centrale europea. Ci ha consentito bassi tassi d’interesse sul debito. Quindi, credo che il contribuente e il lavoratore italiani debbano ringraziare il Fiscal compact. Non penso che la priorità dell’Italia sia mettere in discussione il Fiscal compact o di fargli una guerra.
Quella linea di politica economica ha però prodotto bassi tassi di crescita. Adesso si stimano rialzi, si spera duraturi, ma in Italia sono forse dovuti proprio alle forzature contro il rigore di bilancio.
Questa è un’analisi di cui vorrei vedere meglio le evidenze scientifiche. Una parte importante della crescita economica è legata all’export, nell’Area euro, Ue ed extra Ue. Credo che la crescita che si sta registrando – negli ultimi mesi molto sostenuta, non sufficiente, ma molto sostenuta, anche in regime di Fiscal compact – dipenda dalla crescita mondiale, dall’aumento dell’export e dalle riforme che sono state fatte, molto più che dalla riduzione del deficit che è stata più graduale del previsto, comunque tenendolo sotto controllo e ben al di sotto del 3% del Pil. Qui c’è una rivendicazione sacrosanta di Renzi: sull’export e sulle riforme, non sul deficit e sulla spesa pubblica.
La prossima legge di bilancio deve restare in quel solco?
La legge di bilancio e le riforme. Ora voteremo la fiducia alla legge sulla concorrenza, che non è la migliore legge annuale sulla concorrenza, lo ha detto anche Calenda, ma questa è la via per la crescita: le riforme, l’apertura dei mercati, la concorrenza, l’export. Certamente, in prospettiva, anche la riduzione del carico fiscale, la burocrazia, la giustizia. Quando noi diciamo, come faremo sabato, “per un’Italia europea”, pensiamo esattamente a questa Italia, che sta in Europa senza timore reverenziale, e siccome la ama la vuole migliorare. Poi discutiamo con Macron, discutiamo di interesse nazionale. Non pensiamo che non esista, riteniamo che l’interesse nazionale dell’Italia sia meglio tutelato nell’Unione europea.
Nel caso vinceste la competizione elettorale con questa piattaforma, non farete come Macron? Sta deludendo i molti che tifavano per lui in Italia, dandoci qualche schiaffo sui migranti, sulla vicenda Fincantieri Stx…
Su Fincantieri penso che quella di Macron sia una scelta sbagliata. Bisognerà valutare il profilo di legittimità, ma non sta a me. Macron, in campagna elettorale, sventolava la bandiera europea, e mi faceva molto piacere. Mi faceva molto meno piacere quando preannunciava la decisione che è stata presa su Stx.
La sua retorica europeista è stata messa da parte dall’interesse nazionale. Anche sulla Libia, sembra.
Sulla Libia, pare che il generale Haftar, tornando da Parigi, abbia ricominciato a usare un linguaggio nei confronti di al Serraj che non sembra prodromico al rilancio dei rapporti tra i due. Io faccio il tifo per la Libia pacificata, e non dobbiamo essere invidiosi. Se qualcuno dà un contributo che si rivela solido, ben venga. La bacchetta magica non ce l’ha nessuno, e sulla Libia bisogna continuare a lavorare come ha fatto l’Italia, ininterrottamente e pazientemente, in questi anni. Poi, anche qui, non è che essere europeisti voglia dire chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Non è che l’Unione europea sia un posto finto dove la gente si vuole solo bene. C’è un gioco politico molto forte tra forze politiche, come anche tra Paesi, ed è fisiologico che sia così.
Sabato svelerete che forma prenderà Forza Europa?
Ci sono due modi per giocare una partita: il bluff, che può funzionare, o la realtà. Noi cerchiamo di dire le cose come sono, quello che Forza Europa diventerà lo scopriremo nelle prossime settimane o mesi, a seconda della forza che riusciremo a dare a questa ‘costituency’.
Quali forze puntate ad attrarre?
L’obbiettivo nostro è stato sempre quello di dare una possibilità, a chi si trova a discutere di Europa e ha sempre avuto solo la campana dell’Europa dei burocrati, diretta dalla Germania, dell’euro che ci strangola, eccetera, gli strumenti per identificarsi in una istanza politica e avere una voce forte uguale e contraria. Più cresceremo, più potremo dire di essere sulla pista giusta. Poi vedremo come concretizzare questa iniziativa, Forza Europa, dal punto di vista politico ed elettorale.