Bruxelles – Qualcosa si muove, ma ancora troppo lentamente. Sulla gestione dei richiedenti asilo si è in ritardo ovunque, in Europa e anche in Italia. Gli altri Stati membri devono fare di più per venire incontro alle necessità di una nazionale, quella italiana, ancora “sotto enorme pressione” migratoria, ma l’Italia deve velocizzare le procedure di trattamento delle domande. Ci sono ancora tanti, troppi eritrei che non sono inseriti nella liste delle persone potenzialmente degne di protezione, e se non figurano nella lista gli altri governi non possono farsene carico. L’Italia, in sostanza, deve mettersi nella condizioni di essere aiutata se vuole sperare di ricevere la solidarietà dei partner comunitari. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto sul ricollocamento dei cittadini extra-comunitari giunti su suolo Ue. L’Unione europea si è dotata di un schema di redistribuzione degli aventi diritto d’asilo (relocation) che giungono in Italia e Grecia, ma c’è ancora tanto da fare.
In base all’idea originaria della Commissione europea un totale 98.255 migranti devono essere presi in custodia dai vari Stati membri in modo vincolante, tra tutti i richiedenti asilo approdati in Italia (34.953) e Grecia (63.302). A oggi solo un quinto delle persone da smistare dall’Italia (7.873) sono state trasferite altrove, e solo un quarto (16.803) dei migranti giunti in Grecia è passato sotto assistenza di altri governi. Poco, troppo poco per rispettare gli impegni verbali di finire la relocation entro settembre di quest’anno. La Commissione guarda con un certo rammarico i progressi pur limitati registrati negli ultimi mesi: il ritmo di trasferimento di richiedenti asilo da Italia e Grecia ha continuato ad aumentare, con più di mille ricollocamenti al mese tra novembre 2016 e giugno 2017. Un record. “Dando un’occhiata ai risultati ottenuti fin qui è chiara una cosa, che i ricollocamenti funzionano se c’è la volontà politica” di farli, sottolinea il commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos. Serviva in sostanza più determinazione (o “solidarietà”, come è stata più volte chiamata), venuta però a mancare.
L’appello per tutti è fare di più, perché “sono necessari sforzi continui”. Ciò vale a cominciare dall’Italia, paradosso di tutta questa vicenda. E’ conclamato che il Paese per cui la Commissione ha concepito lo schema di trasferimento dei migranti è in maggiore difficoltà, e Avramopoulos per primo ricorda come anche oggi l’Italia “è sotto pressione enorme”. Eppure, nonostante il peso dei migranti e lo schema concepito per venire incontro alle esigenze e alla problematiche italiane, le autorità nazionali o fanno poco, o fanno male. In qualche modo loro per prime non collaborano se è vero, come rileva l’esecutivo comunitario, “dall’inizio del 2016 sono giunti in Italia 25mila eritrei ma solo 10mila sono stati registrati”. L’Italia, in sostanza, “ha ancora urgente necessità” di definire e comunicare i nomi e i dati dei cittadini eritrei giunti sulle coste nel 2016 e nel 2017 ammissibili per lo schema di ricollocamento. Avramopoulos rinnova gli appelli agli Stati membri ad “aumentare ulteriormente gli sforzi di trasferimento dall’Italia”, ma se l’Italia per prima non fa la propria parte pur volendo diventa difficile, se non impossibile, aiutare.