Bruxelles – E’ uno scontro tra i Paesi del gruppo di Visegrad e il resto dell’Unione europea, che per ora sta avendo la meglio. Nelle aule della Corte di giustizia dell’Ue si è vista la plastica divisione dell’Unione nella causa intentata da Ungheria e Slovacchia contro il ricollocamento dei migranti giunti in Italia e Grecia. I due ricorrenti hanno trovato lungo la strada l’appoggio della Polonia, mentre dalla parte del Consiglio dell’Ue che decise i ricollocamenti si sono trovati, anche in giudizio, Belgio, Germania, Grecia, Francia, Italia, Lussemburgo, Svezia e la Commissione europea. Che per ora hanno avuto la meglio.
In risposta alla crisi migratoria che ha colpito l’Europa nell’estate 2015, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato una oramai famosa decisione per aiutare l’Italia e la Grecia ad affrontare l’afflusso massiccio di migranti. In base all’accordo era prevista la ricollocazione, a partire da questi due Stati e su un periodo di due anni, di 120.000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale verso gli altri Stati membri dell’Unione.
La decisione non è mai piaciuta ad alcuni Paesi, e tutto il processo, al momento, è un fallimento. La base legale dell’accordo però è nelle carte fondamentali dell’Ue, e si fonda sull’articolo 78, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che recita: “qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo”.
La Slovacchia e l’Ungheria, che, come la Repubblica ceca e la Romania, hanno votato in seno al Consiglio contro i ricollocamenti, hanno dunque chiesto alla Corte di giustizia di annullarla contestandone la base giuridica e sostenendo che non è né idonea a rispondere alla crisi migratoria né necessaria a questo fine.
Oggi si è giunti alla prima tappa del percorso giudiziario, con le conclusioni dell’’avvocato generale Yves Bot, che propone alla Corte di respingere i ricorsi di Slovacchia e Ungheria.
In primo luogo, l’avvocato generale conferma la validità dell’articolo 78 come base giuridica della decisione perché “autorizza l’adozione di misure, che, per rispondere a una situazione di emergenza individuata in maniera chiara, deroghino temporaneamente e su punti precisi ad atti legislativi in materia di asilo”. L’avvocato generale rileva, inoltre, che quella disposizione consente al Consiglio “di adottare tutte le misure temporanee che reputi necessarie per far fronte a una crisi migratoria”. In più, l’avvocato generale afferma che tali deroghe mirate e temporanee non possono essere assimilate a una modifica permanente delle norme sostanziali contenute in atti legislativi dell’Unione in materia di asilo sicché l’adozione della decisione impugnata non costituisce un aggiramento della procedura legislativa.
Infine, l’avvocato generale precisa che, poiché tale decisione costituisce un atto non legislativo, la sua adozione non era assoggettata ai requisiti connessi alla partecipazione dei parlamenti nazionali (tali requisiti si applicano solamente agli atti legislativi).
In secondo luogo, l’avvocato generale osserva che l’ambito temporale di applicazione della decisione in esame (ossia dal 25 settembre 2015 al 26 settembre 2017) è delimitato in maniera precisa, cosicché non se ne può contestare la natura temporanea.
In terzo luogo, l’avvocato generale rileva che le conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015, secondo le quali gli Stati membri devono decidere “per consenso” in ordine alla distribuzione di persone in evidente bisogno di protezione internazionale “tenendo conto della situazione specifica di ogni Stato membro”, non ostano a che il Consiglio adotti la decisione impugnata.
In quarto luogo, l’avvocato generale respinge l’argomento secondo il quale il Consiglio avrebbe dovuto consultare nuovamente il Parlamento europeo, perché aveva apportato modifiche sostanziali alla proposta di decisione iniziale della Commissione, prendendo atto, in particolare, della volontà espressa dall’Ungheria di non figurare nell’elenco degli Stati membri beneficiari del meccanismo di ricollocazione e qualificandola come Stato membro di ricollocazione. A questo proposito, l’avvocato generale ritiene che, poiché tali modifiche non intaccano le caratteristiche fondamentali del meccanismo, non fosse necessaria una nuova consultazione formale del Parlamento.
In quinto luogo, l’avvocato generale osserva che, nonostante la decisione impugnata contenga modifiche rispetto alla proposta iniziale della Commissione, il Consiglio non era tenuto a decidere all’unanimità, perché la Commissione non si è opposta a tali modifiche.
In sesto luogo, per l’avvocato generale la decisione impugnata contribuisce in modo automatico ad alleviare la forte pressione esercitata sui sistemi di asilo greco e italiano a seguito della crisi migratoria dell’estate del 2015 ed è quindi idonea a realizzare l’obiettivo che essa persegue.
Infine, in settimo luogo, l’avvocato generale rileva che il Consiglio è legittimato ad adottare una misura temporanea che procede a una ripartizione obbligatoria, tra gli Stati membri, di persone che hanno bisogno di protezione internazionale, e quindi non si può ritenere che una misura del genere ecceda manifestamente quanto necessario per fornire una risposta efficace alla crisi migratoria.
La sentenza della Corte sui ricollocamenti è attesa nei prossimi mesi. Forse quando oramai l’accordo sarà scaduto…