Bruxelles – La Commissione porta avanti la procedura d’infrazione aperta a carico di Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria per la mancata partecipazione al meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo sbarcati in Italia e Grecia. Il collegio dei commissari ha inviato un parere motivato ai governi tre Paesi, dopo la lettera di messa in mora recapitata a Praga, Varsavia e Budapest il mese scorso. Si tratta del secondo stadio della procedura d’infrazione, dopo il quale si avvia la fase del contenzioso di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Uno scontro che a Bruxelles preferirebbero evitare. “Non era nostra intenzione aprire queste infrazioni, e non vorremmo procedere oltre”, sostiene il commissario per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che però si dice “contrariato per l’assenza di solidarietà di certi Stati membri”, i tre oggetto di procedura.
Fin qui invece ha prevalso l’immobilismo e la resistenza dei tre Stati membri, che non hanno mosso un dito per venire in soccorso a Italia e Grecia e rispettare gli impegni presi a livello comunitario. Ungheria e Polonia sono gli unici Stati membri che non hanno accettato di ospitare un solo migrante dall’inizio del programma, anche se Varsavia aveva preso un impegno nel dicembre scorso, che però poi non ha mai rispettato. La Repubblica Ceca aveva invece accettato alcuni trasferimenti, ma dall’agosto scorso non ha più accolto nessuno. E’ da un anno che non si muove niente a Praga a dintorni. Nonostante l’avvio delle procedure, nulla è cambiato. Persino la Slovacchia, che ha fatto ricorso alla Corte contro il sistema di quote, oggi respinto dall’avvocato generale, ha lavorato nonostante tutto alla redistribuzione dei migranti (anche se al 21 luglio 2017 risultano appena 16 richiedenti asilo presi dalla Grecia e nessuno dall’Italia, molto poco in verità). Contro Bratislava nessuna procedura.
L’Ue avverte: si faccia di più o sarà deferimento alla Corte. L’impressione è che nulla si muoverà. L’auspicio di Avramopoulos è che “alla fine prevalga il buon senso” e i tre Stati membri cambino idea evitando le cause davanti alla Corte. La Repubblica Ceca andrà al voto a ottobre, e nessuno si impegnerà in campagna elettorale su un tema che può costare le elezioni. In Ungheria, il primo ministro Viktor Orban ha fatto sapere a più riprese che, qualunque cosa succeda, il suo Paese non si farà carico di niente e di nessuno. E pure la Polonia, Stato membro dal piglio sempre più autoritario, non sembra intenzionata a muovere niente.