Bruxelles – I giovani pagano la crisi e un mercato del lavoro all’insegna della deregulation che abusa di contratti atipici, subiscono le nuove tecnologie che modifica il modo di lavorare, sono costretti a “rinviare scelte di vita importanti” quali la creazione di una famiglia per via di precarietà crescente, e per andare in pensione dovranno fare molti più sacrifici, per avere un cambio un assegno assai meno cospicuo dei loro genitori. Eccolo l’identikit del giovane europeo d’oggi, in un rapporto che la Commissione europea spaccia per nuovo – e lo è se si guarda la data di pubblicazione – ma che nuovo non è se ne leggono i contenuti. Non ci voleva certo la versione annuale 2017 della relazione sugli sviluppi del mercato del lavoro per rendersi conto di dove sta andando l’Europa: verso il declino. “Lasciare indietro i giovani significa mettere a rischio il nostro futuro, i nostri valori”, avverte il commissario responsabile per questi temi, Marianne Thyssen. Ma i giovani sono già indietro, e se gli Stati membri – responsabili per le riforme del mercato del lavoro – non fanno qualcosa, neppure l’immigrazione ci salverà.
Già, l’immigrazione. La situazione è tale che “senza alcuna migrazione nell’Ue da qui in avanti, il declino della popolazione in età da lavoro sarà anche peggiore” del previsto, e “solo un’immigrazione netta più alta potrà permettere la ripresa della crescita della popolazione in età lavorativa nel medio termine”. Insomma, nell’Europa che di fronte ai flussi di richiedenti asilo e immigrati economici si divide politicamente e geograficamente, ecco che i barconi diventano la risposta al problema. Un paradosso, in tempo di paradossi.
L’Europa cresce, questo i numeri lo dicono chiaro e tondo. Dieci milioni di posti di lavoro in più tra il 2013 e il 2016, un tasso occupazionale (71,1%) più alto anche di quello che c’era prima della crisi, e 4,8 milioni di cittadini prima potenzialmente a rischio esclusione sociale ora tolti da una situazione di vulnerabilità. Ma non è che una faccia della medaglia, dove la parte non percettibile a prima vista, nascosta com’è nelle 265 pagine di rapporto, nasconde i problemi dell’Europa. I contratti atipici aumentano, i lavoratori autonomi aumentano (Grecia e Italia al comando della classifica) e “nel complesso – rileva lo studio – nella maggioranza degli Stati membri i lavoratori più giovani con contratti non standard sono considerevolmente più a rischio precarietà”. Non certo una novità.
Non sorprende neppure che per effetto di questo contesto un giovane lavoratore trentenne guadagni in media il 60% in meno di un lavoratore ultrasessantenne, che oltre tutto posticipa l’andata in pensione (“i lavoratori più anziani ritardano la loro pensione”, recita il documento). Tutto questo, nella pratica, vuol dire che “le persone devono rinviare le decisioni importanti di vita: farsi una famiglia, diventare indipendenti, acquistare una casa». Marianne Thyssen, è il caso di dirlo, aiuta a scoprire l’acqua calda.
La Commissione, questo va detto, può fare poco per imprimere una svolta vera in un ambito che resta squisitamente nazionale. Sono i governi degli Stati membri a dover promuovere politiche di occupazione, e tutto è nelle loro mani. Thyssen promette di fare pressione sulle capitali più che può attraverso le raccomandazioni specifiche. Le stesse, per intenderci, con cui si chiede all’Italia di rimettere la tassa sulla prima casa, con l’Italia che fa orecchio da mercante. Pochi poteri, quindi, e neppure così incisivi. Non è sul tavolo una proposta per un reddito di base europeo, misura che “al momento la Commissione non prevede”, ammette Thyssen, ricordando come l’esecutivo comunitario abbia proposto l’introduzione di un salario minimo europeo, la cui fattibilità è tutta da dimostrare. Il rapporto di oggi a cosa serve, allora? A lanciare un allarme. Così non si può andare avanti. E’ il fallimento di un modello economico-sociale che rischia di esplodere, uccidendo i giovani.