Roma – Se una sola Unione europea non è in grado di procedere sulla strada dell’integrazione, allora serve uno sdoppiamento. La pensa così Sergio Fabbrini, direttore della Scuola di governo della Luiss di Roma, che spiega la sua proposta in una intervista a Eunews, rilasciata a margine della presentazione del suo volume, “Sdoppiamento” appunto, illustrato insieme con quello scritto dalla presidente della Camera Laura Boldrini, “La comunità possibile. Una nuova rotta per il futuro dell’Europa”, ieri a Roma.
Professore, perché è necessario uno sdoppiamento per far avanzare l’integrazione europea?
Perché bisogna prendere atto che ci sono differenze nelle visioni dell’integrazione europea da parte degli Stati membri. Per alcuni, l’Ue è un’opportunità di integrazione economica e di massimizzazione delle risorse. Per altri, l’integrazione è partita su basi politiche ed è la risposta ai demoni del loro nazionalismo. Queste differenze non sono facilmente conciliabili. Se le teniamo nello stesso contenitore, quelli che voglio andare avanti sono costretti a fermarsi, perché gli altri mettono dei veti. Quelli che vogliono fermarsi, invece, sono costretti a misurarsi con la richiesta degli altri di andare avanti. Il risultato è che l’Unione europea è in una costante paralisi. La mia proposta è di differenziare due aree, creando due progetti politici distinti dentro il mercato comune.
Lei auspica che il Regno Unito rimanga nel mercato unico. Non vede il rischio che questo indebolisca il percorso di integrazione? Anche altri vorrebbero scegliere cosa tenere e cosa no.
No. Io credo che il Regno Unito dovrebbe rientrare nel mercato unico, ma accettando le quattro libertà di circolazione. Non può fare la scelta di una libertà e non dell’altra. Tuttavia, l’organizzazione che si dà l’Unione europea è tale da consentire al Regno Unito o ad altri Paesi di stare nel mercato unico ma senza avere voce in capitolo nelle scelte politiche. Quella che io invece chiamo Europa federale si dà un suo esercito, costruisce una sua intelligence, si dà una sua rappresentanza all’interno dell’Eurozona, del tutto separata dagli altri Paesi che insieme collaborano dentro il mercato unico. Si tratta di capire che organizzazione dare al mercato, per far sì che il gruppo federale e gli altri, che rimangono in una logica più nazionale, possano collaborare senza che si creino situazioni di egemonia o di gerarchia del gruppo federale nei confronti degli altri.
Anche nell’Eurozona c’è una resistenza ad andare avanti. Ad esempio, la Germania frena sul completamento dell’unione bancaria. È sicuro che l’Area euro sia politicamente pronta per questo passo?
Certo, ci sono delle differenze anche nell’Eurozona. Però sono differenze di policy, non strategiche. Unione federale non vuol dire che siamo d’accordo su tutto. Bisogna trovare dei compromessi. Tra Germania e Italia c’è una convinzione strutturale del fatto che abbiamo bisogno di integrazione politica. Loro hanno inventato il nazismo, noi il fascismo. Siamo paesi che hanno bisogno di avere integrazione politica per tenere sotto controllo i propri demoni nazionalisti. Nel caso dei Paesi dell’Est Europa o della Gran Bretagna, la differenza è strutturale. Loro hanno una diversa idea di integrazione. È evidente che stando nell’eurozona ci saranno divisioni. I tedeschi e gli italiani avranno probabilmente visioni differenti sull’unione bancaria. Ma una cosa è la divisione tra Germania e Italia sull’unione bancaria, una cosa è la differenza tra la Germania è l’Italia da una parte e l’Ungheria dall’altra sulle finalità dell’integrazione. Qui c’è una divisione strutturale: loro vogliono il solo mercato e non vogliono che le istituzioni europee entrino nella loro sovranità nazionale. Noi invece accettiamo una condivisione di sovranità, anche se ovviamente ci sono divergenze su come organizzare questa condivisione.