Il problema ora è il seguente: Se, come probabile, ci rispondono picche che facciamo? Domani a Tallinn sarà una giornata molto importante per il futuro dell’Europa, non solo perché si vedrà se si confermeranno le divisioni tra Nord e Sud, ma anche perché si potrebbe rompere il già sfilacciato nastro che sembrava potersi creare con la nuova Francia di Macron e la Germania di Merkel e Schulz, cioè con i paesi a parole più “europeisti”.
Nessuno, in buona fede, si aspetta che domani accada qualcosa di buono. Il ministro degli Interni Marco Minniti sarà ascoltato con cortesia dai suoi pari dell’Unione europea e sarà rimandato a casa con le pive nel sacco. Speriamo, davvero speriamo di non aver capito niente, ma oggi l’aria sembra questa. L’Italia, spalleggiata da una Commissione europea oramai debole, guidata da persone che come Frans Timmermans non hanno praticamente più un partito e neanche un governo alle spalle e possono contare solo sul prestigio personale, merce quasi inutile in questa Europa, o come il presidente Jean-Claude Juncker, che, con sincerità, da anni chiama inascoltato alla solidarietà, tranne poi perdere la pazienza in Aula e inimicarsi anche gli unici possibili alleati che sono i parlamentari europei.
A Tallinn (dove, ironia della sorte, c’è anche un porto) si rischia la frattura definitiva sulla questione migranti, e l’Italia ha già sparato tutte le cartucce che un paese democratico, civile e solidale può sparare. Domani ci si dirà che i porti europei restano chiusi, che i ricollocamenti non si faranno se non in misura ridicola, che insomma l’Italia deve continuare a salvare persone, in acque internazionali, si noti, non in nostre acque territoriali, ed accoglierle a nome di tutti. Arrivederci e grazie.
E cosa potranno rispondere Minniti o il premier Gentiloni (non citiamo l’evanescente ministro degli Esteri per evidente inconsistenza)? Chiuderanno i porti? Apriranno le frontiere di terra? Lasceranno la gente a morire in mare? No, continueremo a fare il Paese civile, che cerca una via d’uscita politica, come una collaborazione con i Paesi di provenienza, come la lotta ai trafficanti, come una un po’ sgangherata accoglienza (perché costa e costa tanto e le briciole europee non aiutano davvero). E i “partner” ci diranno che non siamo tanto bravi con le identificazioni, che siamo scarsini nell’accoglienza nelle scuole o nell’offrire un lavoro. C’è una frase, molto volgare per spiegare questo atteggiamento, il cui senso è questo: siamo tutti grandi soldati, quando a combattere ci va un altro.
Dunque niente: dopo Tallinn avremo delle contropartite come un po’ di tolleranza sui conti pubblici, ma continueremo ad essere indicati come quelli col debito troppo alto. In cambio ci dobbiamo destreggiare con i migranti. E se poi questi migranti sono costretti a morire in mare e poi a fare una vita grama una volta arrivati a terra chissenefrega, in Europa si dirà che in fondo è un po’ colpa nostra perché prendiamo male le impronte digitali.