Bruxelles – L’Ue prova a porre fine all’evasione fiscale delle multinazionali con una prima stretta sulle grandi corportation. Il risultato è forse meno ambizioso del previsto, ma il Parlamento europeo ha comunque approvato le regole che impongono alle imprese di elaborare e pubblicare documenti fiscali Paese per Paese. Bisogna, in sostanza, rendere pubbliche le cartelle esattoriali e dire quante tasse si pagano in ognuno degli Stati membri dell’Ue in cui si hanno filiali o società controllate. Le nuove regole riguardano tutte le società con un fatturato globale pari o superiore a 750 milioni di euro. Le norme sono state promosse a larghissima maggioranza ( 534 voti favorevoli, 98 contrari e 62 astensioni), ma solo perchè si tratta di un primo passo. Dopo quattro anni dall’entrata in vigore delle regole la Commissione dovrà procedere ad una valutazione e potrà rivedere le soglie.
Le regole
Le nuove regole rispondono al cosiddetto “contry by country reporting”, la pratica di fornire informazioni pubbliche su dove si pagano le imposte e in che misura, adesso diventata un obbligo per le grandi imprese. Chi fattura dai 750 milioni di euro in su dovrà rendere disponibili tutte, ma proprio tutte, le informazioni fiscali a partire dal nome della compagnia e, “dove possibile”, la lista di tutte le affiliate, una breve descrizione delle attività e la posizione geografica di ognuna di essa. Accanto a questo dovranno essere indicati il numero di impiegati a tempo pieno, l’ammontare del fatturato netto, il capitale dichiarato, l’importo dell’imposta sul reddito pagata durante l’anno fiscale in questione da parte dell’impresa e delle sue succursali nella relativa giurisdizione, l’ammontare dei guadagni totali, e ancora se le imprese, le affiliate o le succursali beneficiano di un trattamento fiscale preferenziale.
Eccezioni
Dopo quattro anni dall’entrata in vigore delle nuove norme l’esecutivo comunitario dovrà stabilire se l’obbligo di trasparenza fiscale debba essere esteso a chi fattura meno di 750 milioni. L’Aula del Parlamento europeo ha previsto però delle deroghe in nome della protezione di informazioni commercialmente sensibili. In base a questa flessibilità, si può evitare insomma di fornire informazioni. La deroga però non è per sempre. La Commissione dovrà procedere a valutazioni annuali. La natura della misura è però controversa, come sottolineato dall’esponente di Possibile, Elly Schlein. “L’’introduzione della clausola di salvaguardia, che consente alle multinazionali di chiedere un’esenzione dall’obbligo di rendicontazione per le informazioni ritenute ‘sensibili’, può costituire una pericolosa scappatoia per continuare a nascondere i profitti, depotenziando e mettendo a rischio la portata della misura”.
Un voto che non convince
Le proposte di flessibilità hanno permesso di trovare una maggioranza chiara, cosa non scontata viste le divisioni tra i gruppi. Popolari (Ppe) e liberali (Alde) hanno votato massicciamente a sostegno della proposta. Gli altri gruppi avrebbero voluto trasparenza fiscale obbligatoria per tutte le imprese con fatturati a partire da 40 milioni di euro. Una proposta che ha visto convergere le posizioni di socialisti (S&D), verdi, sinistra europea (Gue), e partiti euroscettici (Efdd e Enl). “A causa dell’opposizione di popolari e liberali la legge riguarderà solo chi fattura da 750 milioni in su, ma abbiamo ottenuto una clausola di revisione tra quattro anni”, commenta Hugues Bayet, negoziatore capo del gruppo S&D per la commissione Affari economici. I socialisti devono cedere il passo, ma si sono assicurati uno strumento per stringere le maglie in futuro. Intanto, però, si esclude dall’obbligo di trasparenza fiscale l’85% delle imprese operanti in Europa, ha denunciato l’esponente della Gue, Fabio De Masi, durante i lavori d’Aula. Anche tra i Verdi c’è chi manifesta malumori. “La soglia dei 40 milioni sarebbe stata meglio”, ha ammesso Ernest Urtasun. Anche il conservatore Pirkko Ruohonen Lerner riconosce che per il gruppo di cui fa parte (Ecr) la proposta “non è perfetta”. Non si capsice cosa pensi la Lega, che si è astenuta al gran completo. Non piace l’esito a Laura Ferrara (M5S/Efdd), che aveva chiesto nell’emendamento a sua firma di abbassare la soglia dell’obbligo di rendicontazione (da 750 milioni a 40 milioni di fatturato annuo: “Non possiamo sostenere un testo che è addirittura peggiore rispetto alla proposta della Commissione”.
Secondo Elly Schlein, eurodeputata di possibile nel gruppo S&D, questo provvedimento è “uno strumento fondamentale contro l’evasione e l’elusione fiscale a livello globale ed europeo. Ho molto insistito per estendere l’obbligo anche alle attività svolte fuori dall’Ue – sottolinea la parlamentare – , ed è fondamentale che sia passato, perché questo consentirà anche ai Paesi in via di sviluppo di ottenere informazioni preziose sulle multinazionali che operano entro i loro confini. I paesi più poveri sono, infatti, quelli che pagano il prezzo più alto per queste pratiche, perdendo ogni anno centinaia di miliardi di dollari; risorse fondamentali per lo sviluppo”.
Conta il messaggio (si spera)
L’Aula è tuttavia convinta che il voto di oggi mandi un segnale chiaro nella lotta all’evasione fiscale delle imprese che, secondo la Commissione europea, costa agli Stati membri dell’Ue tra i 50 e i 70 miliardi di euro l’anno in perdite fiscali. Intervenire appariva dunque “importante”, come sottolineato più volte nel corso delle dichiarazioni di voto. Anche perché l’Europa è stata investita dagli scandali Luxleaks e Panama papers, con accordi tra autorità nazionali e imprese che hanno favorito il versamento di tasse concordato. L’impressione, però, è che “la montagna ha partorito un topolino”, ha chiosato il portoghese Miguel Viegas (Gue). Il rischio è proprio questo: che l’Ue appaia troppo timida. Intanto, però, si dota di regole.