Bruxelles — Il governo britannico stia attento alle possibili conseguenze negative della Brexit nel settore della ricerca. Il monito arriva dal veterano di Bruxelles, Pascal Lamy. Il politico francese, ex direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, non ha usato mezzi termini nella conferenza di ieri, lunedì 3 luglio. “Ricerca e Innovazione — modellando il nostro futuro” recitava lo slogan del convegno che ha ospitato la presentazione del report di Lamy e altri esperti sulle strategie di massimizzazione dell’impatto dei programmi d’innovazione dell’Unione europea. “Dovremmo stabilire un modello positivo di scambio” basato sull’interesse reciproco, “perché il Regno unito rimanga parte dell’Area di ricerca europea” si legge nel documento.
Lamy, che partecipò alla creazione del mercato unico negli anni Ottanta, esorta il Regno Unito a mantenere la propria posizione nel settore di ricerca europea. “Qualunque modalità di Brexit venga concordata tra Regno Unito e Ue entro il 2019,” precisa Lamy, una “completa e continua collaborazione con il Regno Unito per il progetto Ue Ricerca e Innovazione post 2020 costituirebbe un vantaggio sia per la Gran Bretagna che l’Unione europea”.
Londra continuerebbe a beneficiare del del libero scambio di tecnologie e scienziati tra i paesi membri dell’Area di ricerca europea e, qualora i 160 miliardi di euro chiesti all’Unione per il prossimo bilancio venissero approvati, della quota di un ingente budget. Del resto, il Regno unito si è finora distinto per essere uno dei principali contribuenti e beneficiari dei fondi di ricerca europei: il Guardian ha riportato che tra il 2007 e il 2013, l’Uk abbia versato €5.4 miliardi e ne abbia ricevuti €8.8 di finanziamenti.
Carlos Moedas, Commissario europeo per la ricerca, non manca di ricordare l’impatto dei negoziati Brexit sulle scelte in materia scientifica del Regno Unito. “La realtà dei fatti si sta facendo sentire e ne sono tutti tristi — sia gli scienziati europei che quelli britannici”. Ricerca e scienza sono un capitolo che verrà discusso solo nella seconda fase dei negoziati Brexit, una volta che un accordo di massima tra Regno Unito e Ue sarà stato raggiunto. Theresa May ha promesso ai cittadini il proseguimento dei progetti finanziati dall’Ue fino al 2020, ma è palese la preoccupazione di molti scienziati che le restrizioni del libero mercato danneggino il Regno Unito come centro di collaborazione scientifica.
Una possibile soluzione è evidenziata al punto 10 del report di Lamy, e prevede un programma che incoraggi partner non europei in cambio di finanziamenti reciproci. Difatti, non sarebbe la prima volta. Norvegia, Israele, Islanda e Svizzera sono solo 4 dei 16 Paesi associati al programma di ricerca europea, una scelta che Lamy propone di estendere anche a Canada e Australia.
Gli scienziati britannici avevano già trattato l’ipotesi nel resoconto su scienza e tecnologia presentato alla Camera dei Lord nel 2016. “Seppur ci sia consenso che lo stato di Paese associato possa garantire al Regno Unito accesso agli schemi di prestito dell’Ue”, scrivevano, “sono state avanzate preoccupazioni sul livello di influenza che il Regno Unito potrebbe mantenere nei processi decisionali e nei comitati consultivi. Attualmente, il Regno Unito ha un considerevole ascendente sullo sviluppo della politica europea per la scienza. Non è interamente chiaro come questo potrebbe cambiare nel caso di cessazione del titolo di Paese membro e l’adozione di quello di Paese associato”.
Lamy esprime fiducia che i leader europei supportino le sue richieste per nuovi fondi di ricerca, nonostante l’ammanco causato dalla Brexit. Come ha recentemente annunciato Gunter Oettinger, il commissario europeo per il Bilancio e le risorse umane, l’Ue rischia un deficit di oltre 10 miliardi di euro all’anno con l’uscita del Regno Unito, un vuoto che vari paesi contribuenti hanno affermato di non voler riempire.