Non è ancora stata pronunciata l’ultima parola sulla Brexit. Al momento, con le carte che abbiamo ora sul tavolo, tutto sembra portare inevitabilmente ad un abbandono di Londra, anche abbastanza “hard” per come il governo di Theresa May imposta il negoziato e come anche l’Unione europea si pone.
Però le carte del mazzo forse non sono ancora state tutte giocate. Dalla Gran Bretagna continuano ad arrivare notizie, commenti e sondaggi che fanno credere che tra la popolazione e le imprese la decisione di un abbandono, duro, senza mercato unico, senza libera circolazione delle persone, non sia ancora stata compresa e digerita completamente.
E’ anche vero che i due partiti principali sono schierati per la Brexit, ma le posizioni sono molto complesse. Il Labour aveva fatto una tiepida campagna contro, ed ora si è allineato “per rispettare la volontà popolare”, ma buona parte, forse la maggioranza in realtà resta contraria alla scelta di lasciare l’Ue. Anche tra i conservatori ci sono alcuni remainers. Il piccolo partito irlandese Dup offre una fragile stampella alla maggioranza di May punta all’uscita, ma con una posizione contraddittoria : “hard” su tutto meno che sul confine con l’Eire.
C’è chi chiede un secondo referendum che possa invertire il senso del primo; c’è chi punta ad una rapida caduta dell’esecutivo di Theresa May e a nuove elezioni; chi cerca un’alleanza trans-partitica; chi tenta di introdurre elementi di ammorbidimento nel negoziato, sia da parte britannica sia europea. Sono strade complicate, alcune aprirebbero a una grande incertezza, altre non sembrano realmente praticabili.
I protagonisti di questo confronto sembrano iniziare ad “autoalimentare” il proprio ruolo, a renderlo qualcosa che vale “in sé”, forse un po’ distaccato dalla realtà di quel che vogliono i britannici e quel che vogliono, che serve agli altri europei. May ha deciso che è utile dimostrare di essere alla guida di un Paese forte, che sa fare da solo, che anzi, farà meglio da solo, Michel Barnier, il negoziatore dell’Ue, vuol mostrare a tutto il Mondo che lasciare l’Unione è una sconfitta, che porterà debolezza e minor ricchezza. Queste posizioni potrebbero esser giuste, le sostengono menti di tutto rispetto. Potrebbero però essere sbagliate, eccessive, non utili, e questo lo sostengono ancor più menti di rispetto. La questione è non incastrarsi nei ruoli assegnati, ma svolgerli con coerenza e serenità, tentando di arrivare all’accordo possibile (che, riteniamo noi, non sarà mai un “buon” accordo, perché non può esserlo, può solo contenere i danni, per ambedue le parti).
La strada da seguire, a nostro giudizio, è una soltanto: avviare finalmente il negoziato, in maniera che sia possibile arrivare ad un accordo ed evitando scorciatoie intermedie tipo elezioni o tentativi di referendum basati solo su tatticismi, slogan o sentimenti dettati dalla contingenza.
Il negoziato deve essere fatto e deve essere concluso entro i tempi previsti. E deve esser condotto dal governo conservatore: perché loro sono i più convinti brexiters, perché hanno già una linea negoziale (più o meno…), perché il negoziato è già avviato e non c’è il tempo di fermarlo per ripartire magari con una guida diversa, magari con contenuti diversi. Si alimenterebbe solo la confusione, l’incertezza, il temuto disordine. E poi, nonostante il brillante risultato elettorale, i laburisti non hanno vinto le elezioni e non sono in condizioni di formare un governo.
Dunque May e Barnier devono negoziare e arrivare ad un accordo possibile. A quel punto, solo a quel punto, quando davvero tutte le carte saranno sul tavolo, quando i cittadini britannici sapranno cosa vorrà dire Brexit (e lo sapremo anche noi continentali), allora sarà possibile, lealmente, proporre un secondo referendum sulle condizioni dell’uscita, nel quale gli elettori del regno avranno piena coscienza della scelta.
Nel frattempo i partiti si saranno posizionati, avranno modo di spiegare passo passo le loro posizioni e potranno dire, ad esempio i laburisti, “questo è l’accordo che è stato possibile, e se queste sono le condizioni allora diciamo ‘no’ alla Brexit”. In questo paio di anni ovviamente tutti coloro che sono contro la Brexit, coloro che lo diventeranno, coloro che dubiteranno dei risultati dell’accordo, devono lavorare a questo obiettivo, ad una nuova consultazione dei cittadini, è un processo che va costruito. Ma è l’unico chiaro e democratico processo, per quanto è possibile in questo disgraziato percorso avviato con colpevole leggerezza da David Cameron.
Se la linea dovesse passare non sarà difficile per i 27 accordarsi su come bloccare il processo: in fondo nel famoso articolo 50 non c’è scritto nulla che impedisca il passo indietro.