Bruxelles – Il miglior investimento possibile per l’Europa è la ricerca. L’Ue ha il potenziale per essere leader dell’innovazione, ma è indietro e fa fatica a recuperare il ritardo con il resto del mondo. L’unica possibilità è investire di più. E’ questa la raccomandazione principale contenuta nel rapporto della Commissione europea dedicato al tema. Una necessità, come tante nell’Europa di questi tempi. Tutto diventa prioritario. L’esecutivo comunitario ha già chiesto nuovi sforzi per la difesa, e nella proposta di nuovo budget pluriennale ha identificato in sostenibilità e immigrazione le aree dove spendere di più. Ora si esorta a mettere sul piatto, e non poco. Nel prossimo periodo di bilancio si chiede di raddoppiare quanto l’Unione spende per la ricerca. Significa rendere disponibili 160 miliardi di euro, contro gli 80 miliardi di adesso. “Solo l’8% del bilancio dell’Ue va alla ricerca, io penso che ne vada messo di più”, sostiene il commissario per la Ricerca, Carlos Moedas, nel presentare i risultati dell’analisi dell’esecutivo comunitario.
L’Ue ha aumentato la spesa comune nella ricerca, passando dai 60 miliardi di euro del ciclo finanziario 2007-2013 agli 80 miliardi previsti per l’attuale ciclo di bilancio. Stando alle stime della Commissione l’Europa “ha tutti gli ingredienti per realizzare un futuro sicuro e prospero” attraverso la ricerca. Ci sono 1,8 milioni di ricercatori nell’Ue che lavorano in migliaia di università, centri di ricerca e industrie di settore. Il mondo della ricerca europea produce il 30% delle pubblicazioni scientifiche mondiali. Non solo. Se si guarda alla quantità di brevetti per soluzioni industriali nei settori di cambiamento climatico ed energie rinnovabili “la maggior parte dei brevetti in queste aree sono europei, non americani”, sottolinea Moedas. Eppure l’Ue resta indietro. In termini di risorse spende per il settore meno della metà di quello che spende la Corea del Nord, produce tre volte meno i brevetti di qualità del Giappone e i capitali di rischio disponibili in Europa sono cinque volte in meno di quelli degli Stati Uniti.
Sono undici le raccomandazioni agli Stati membri per colmare i ritardi e far ripartire l’Europa. Una di queste, la prima dell’elenco, riguarda l’aspetto finanziario. Per imprimere una svolta vera occorrerebbe raddoppiare le risorse, e se non si riesce a raggiungere la cifra di 160 miliardi di euro, andrebbe garantita quantomeno la soglia minima di 120 miliardi di euro. “Spetta ai leader discuterne e deciderne, ma so che l’ammontare di investimenti che abbiamo adesso non è abbastanza”, evidenzia Moedas. L’importanza della spesa nella ricerca è data dall’analisi preliminare contenuta nel documento di 35 pagine messo a punto dal gruppo di alto livello presieduto da Pascal Lamy. Qui si evidenzia che grazie al programma di ricerca dell’Ue Horizon 2020, si avranno ritorni economici per 400 miliardi di euro nel 2030, a fronte di 80 miliardi spesi. Aumentando la cifra investita, i benefici economici per l’Ue aumenterebbero.
Accanto a quella che si configura come la principale sfida per la ricerca europea, si ravvisano le necessità di razionalizzare la spesa, comunicare meglio i risultati ottenuti, evitare che i programmi di ricerca nazionale siano non allineati a quelli europei, semplificare le procedure di partecipazione ai programmi e di accesso al credito, investire nella formazione, definire politiche di ricerca mirate. E poi servono nuovi partenariati di ricerca tra Ue, Paesi terzi, imprese. L’83% dei progetti di ricerca e sviluppo finanziati dall’Ue senza sostegno comunitario non avrebbe modo di andare avanti. Occorre invertire la rotta. “Nel 1995 discutevamo con Jacques Delors (l’allora presidente della Commissione Ue, ndr) di ‘Open Science’”, ricorda Pascal Lamy, direttore del gruppo di alto livello per la ricerca. Open Science intendeva aprire il mondo della ricerca quanto più possibile a tutti. “Vogliamo che la ricerca sia ancor più aperta ai Paesi terzi”. Un necessità imposta anche dalla Brexit.