Nell’epico romanzo “Migrazioni”, Miloš Crnjanski racconta l’epopea di due fratelli serbi che al tempo delle guerre napoleoniche un destino di mercenari senza radici porta a guerreggiare da un angolo all’altro dell’Europa al servizio di sovrani stranieri, fino all’assedio della città di Strasburgo, così lontana dalla patria serba che allora come oggi era più una comunità ideale che un territorio preciso. A Strasburgo, il 1 luglio il Parlamento europeo renderà omaggio alla memoria del Cancelliere tedesco Helmut Kohl, considerato l’artefice della riunificazione tedesca, grande sostenitore dell’integrazione europea uscita dal Trattato di Maastricht e fautore dell’allargamento a Est come della creazione dell’euro.
La storia meglio di noi giudicherà un uomo politico di innegabile levatura e influenza sulla cui reputazione e capacità incombe però anche qualche ombra. Per dirla con parole più spicce, a guardare bene la successione degli eventi che portarono alla caduta del regime di Honecker e alla riunificazione tedesca, non salta tanto all’evidenza un ruolo decisivo di Helmut Kohl, quanto la sua presenza nel posto giusto al momento giusto. Il crollo del comunismo fu un processo, non un avvenimento. Maturò in decenni e venne a compimento quando Kohl era Cancelliere, offrendogli su un piatto d’argento l’opportunità della riunificazione tedesca che del resto fu l’Europa intera a finanziare e non il grande abbraccio di generosità germano-tedesca che molti vogliono far credere.
Appare invece più evidente e decisivo il ruolo di Helmut Kohl in un’altra grande svolta della storia europea: la dissoluzione della Iugoslavia e le sanguinose guerre che le fecero seguito. Tutti sembrano avere dimenticato oggi davanti alla salma del Cancelliere quei giorni del 1991 quando Germania, Austria e Vaticano, contro la posizione degli Stati Uniti e di molti paesi dell’allora CEE, fra cui Francia e Regno Unito, riconobbero l’indipendenza di Croazia e Slovenia. La dissoluzione del paese fu immediata e dopo 50 anni di pace riportò la guerra in Europa. Una guerra devastatrice di cui ancora oggi subiamo le conseguenze.
Fino al riconoscimento dell’indipendenza di Slovenia e Croazia, la linea della comunità internazionale nei confronti dei dissidi iugoslavi era stata quella di considerare gli scontri in atto nel paese come guerre etniche che andavano scoraggiate con sanzioni generalizzate, nella tutela delle frontiere. La Germania invece applicava sanzioni solo a Serbia e Montenegro, puntando il dito contro l’aggressività del comunismo serbo, che considerava l’oppressore delle altre repubbliche federate, divenuti improvvisi modelli di democrazia. Si sarebbe visto poi come intendeva la democrazia Franjo Tudjman, che sempre rifiutò di condannare il movimento fascista degli ustascia. Si sarebbe visto poi quanta poca presenza politica europea fece seguito al riconoscimento di Croazia e Slovenia. L’Europea rimase a guardare e la sua inazione contribuì al degenerare della situazione fino ai massacri e alle epurazioni etniche che conosciamo.
In realtà, la Germania come l’Austria vedevano spalancarsi nel crollo della Iugoslavia una via di influenza nella regione e una scorciatoia all’allargamento ad Est che era soprattutto nel loro interesse. Quanto al Vaticano, l’indipendenza delle cattolicissime Croazia e Slovenia era la tanto attesa breccia per un recupero di influenza nei Balcani da cui il comunismo l’aveva tenuto lontano per 50 anni. La storia, si sa, la fanno sempre i vincitori e la criminalizzazione della Serbia fu gioco facile davanti agli eccidi istigati da Milošević e Karadžić. Ma la questione serba non è riducibile a una distinzione fra buoni e cattivi ed è difficile che sulla dissoluzione della Iugoslavia si trovi mai una lettura condivisa da tutte le parti in causa. Se a Belgrado non sono ancora state rimosse le macerie dei bombardamenti NATO, se la Russia è considerata il grande paese amico e non invece l’UE che è il maggiore investitore nella regione, significa che quel che si è distrutto con la Iugoslavia non è stato ricostruito e che la storia imposta dai vincitori per molti serbi è inaccettabile. Se davvero li vogliamo pienamente in Europa, bisognerà dunque raccontargliene un’altra, a cominciare dal ruolo che ebbe Helmut Kohl nella dissoluzione della Iugoslavia.