di Lorenzo Vai*
Circa un anno fa, nonostante il referendum sulla Brexit, il Consiglio europeo dava il benvenuto alla strategia globale UE presentata dall’Alto rappresentante Federica Mogherini. Oggi, con il primo rapporto sull’attuazione della strategia indirizzato ai 28 capi di Stato e di governo che si riuniranno a Bruxelles nel Vertice del 22-23 giugno, si possono trarre le prime valutazioni di quella scelta. E sembra proprio che il coraggio dimostrato allora nell’andare avanti nonostante la Brexit stia pagando.
La prima novità interessante è di metodo. La EU Global Strategy (EUGS) prometteva di essere – a differenza della Strategia di sicurezza europea promossa da Javier Solana nel 2003 – un documento “vivente”, sottoposto a monitoraggio e adeguato e aggiornato laddove ritenuto necessario. La prima pubblicazione del rapporto annuale sull’attuazione della EUGS va quindi considerata in quest’ottica.
Il documento è suddiviso in sezioni che richiamano le priorità dell’azione esterna europea identificate nella EUGS. Si sofferma quindi sulle azioni intraprese per sostenere la resilienza dei paesi del vicinato europeo considerati fragili, sull’approfondimento di un approccio integrato da parte UE nella gestione dei conflitti e delle crisi, sugli sviluppi della difesa europea, sul coordinamento della sicurezza tra la sua dimensione interna ed esterna, sugli aggiornamenti apportati alle strategie regionali e tematiche dell’UE e sugli sforzi nel campo della diplomazia pubblica.
Negli ultimi dodici mesi, le proposte presentate e le iniziative lanciate per ognuno dei capitoli della strategia sono state numerose. In molti casi sarebbe forse prematuro tentare di dare un giudizio sul loro successo, ma poter constatare un buon attivismo da parte dell’Alto rappresentante è già una buona notizia, visti i precedenti.
Ciò che ben emerge dalle sezioni del rapporto, in maniera trasversale, è la costante ricerca di un approccio globale che, facendo fede al nome della Strategia, riuscisse a costruire una politica estera dell’Ue basata su una maggiore coerenza e sinergia tra tutte le sue politiche (comunitarie e non), le sue istituzioni ed i suoi Stati membri.
Nella fase di attuazione della EUGS questa idea si è declinata in un metodo di lavoro – la joined-up Union – il più possibile partecipato e aperto a tutti gli attori interessati e si è oltremodo concretizzata nelle azioni intraprese. La nascita di una divisione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) dedicata alla prevenzione dei conflitti, alla riforma dei settori della sicurezza e della giustizia, alla stabilizzazione e alla mediazione (Prevention of conflict, Rule of Law/Security Sector Reform/Integrated Approach, Stabilisation and Mediation – PRISM), che lavora in stretto collegamento con la Commissione in una cornice di approccio integrato alle crisi, ne è un esempio.
O ancora: la cooperazione rafforzata tra SEAE, Commissione e agenzie UE quali Europol o Eurojust nella lotta al terrorismo; la nascita della guardia di frontiera e costiera europea unita all’ampliata cooperazione politica ed economica con i paesi terzi per migliorare la gestione del fenomeno migratorio; il tentativo di sfruttare al meglio il potenziale comunicativo e di dialogo offerto dalle 139 delegazioni dell’UE sparse per il mondo, soprattutto nel momento in cui tra istituzioni europee e Stati si può vantare un’univoca coerenza di messaggi e posizioni.
Per quanto riguarda le strategie settoriali e geografiche, la EUGS conferma la sua funzione di Strategia quadro, all’interno dei cui orientamenti vengono definiti programmi d’azione più specifici, come è già avvenuto, ad esempio, per la Politica europea di vicinato, la Strategia spaziale europea, la Strategia dell’UE per le relazioni culturali internazionali, oppure la Strategia europea per la Siria.
Un’attenzione particolare merita l’area sicurezza e difesa. Un rinnovato livello di ambizione da parte dell’UE, indubbiamente facilitato dalla finestra di opportunità spalancata dalla Brexit, ha reso ad oggi possibile la creazione di un quartier generale per le operazioni di addestramento (non di combattimento) condotte dall’Ue (Military Planning and Conduct Capability – MPCC), e l’inizio, nell’autunno 2017, di una revisione annuale coordinata tra gli Stati membri dei piani di difesa nazionali (Coordinated Annual Review of Defence – CARD) al fine di migliorare lo scambio di informazioni, la pianificazione e la cooperazione.
Manca ancora all’appello una riforma degli strumenti di reazione militare rapida, i Battlegroups, per renderli più facilmente utilizzabili e finanziariamente più efficienti, il che comporterà peraltro una revisione del “meccanismo Athena” (spesso criticato). E l’Alto rappresentante è stato incaricato dal Consiglio di presentare l’atteso piano di rafforzamento della capacità civili di risposta alle crisi.
Tuttavia, la portata principale, quella attesa da molti (e da molti anni) risponde al nome di Cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Cooperation – PESCO). Il rapporto conferma che i prossimi mesi potrebbero essere quelli buoni per definire i criteri, gli obblighi e la governance della PESCO, in modo da arrivare ad un suo lancio entro della fine dell’anno. Si tratta di un obiettivo carico di prospettive, che unito al coordinamento della CARD, e agli stimoli economici assicurati dal Fondo europeo per la difesa della Commissione, potrebbe rappresentare uno storico salto in avanti per il processo d’integrazione in uno dei suoi momenti più difficili.
Viste le premesse della nascita, il primo anno della EUGS è da considerarsi positivo. Il documento è riuscito a promuovere il dibattito sulla politica estera dell’UE e a sostenere il lancio di iniziative non scontate. Se nel rapporto i pessimisti non avranno difficoltà a trovare una maggioranza di buone intenzioni su una sostanza ancora minoritaria, gli ottimisti potranno sempre dire che quattro anni fa le cose erano messe molto peggio. Per comprendere fino a che punto la EUGS sarà servita a rendere più efficiente ed efficace l’azione esterna dell’UE toccherà aspettare ancora un po’. Solitamente, anche i bambini iniziano ad alzarsi in piedi e a camminare dopo il primo anno di vita.
*Lorenzo Vai è ricercatore del Centro Studi sul Federalismo e dell’Istituto Affari Internazionali (intervento pubblicato anche su AffarInternazionali).
Pubblicato sul sito del Centro Studi sul Federalismo il 22 giugno 2017.